Draghi è il più affidabile tra i protagonisti della politica italiana, ma il nostro sistema di relazioni internazionali spingerà sicuramente per una sua permanenza lunga a Palazzo Chigi, se possibile anche oltre il limite della legislatura. Il commento di Gianfranco Rotondi
A pochi mesi dall’inizio del semestre bianco, periodo in cui le Camere non possono essere sciolte, il Palazzo si interroga sul futuro del governo Draghi.
Dapprincipio era super Mario, l’uomo della Provvidenza chiamato a coprire col proprio prestigio l’ennesimo vuoto di autorevolezza politica nella infinita transizione italiana. Oggi la politica osserva con più scetticismo l’andamento del governo: gli entusiasti sono più problematici, paradossalmente a Draghi giungono maggiori riconoscimenti dall’unica opposizione parlamentare, quella di Giorgia Meloni.
La realtà è che un governo, qualsiasi governo, entusiasma per i primi tre mesi, poi paga pegno alle proprie scelte. In tempo di pandemia, poi, è impossibile accontentare tutti: se si chiude, per alcuni bisognava farlo prima e di più, e altrettanto se si apre. A Draghi accade come a tutti i governi: partono tra due ali di folla plaudente, poi arrivano dove arrivano.
Dove arriverà Draghi? Al Quirinale, si era detto. Sembrava il patto non scritto dell’ultima crisi di governo: pochi mesi di solidarietà nazionale, e poi il premier cambia palazzo, destinazione Colle. Ma andrà davvero così? E – soprattutto – è davvero questo che vogliono i dirimpettai internazionali di Draghi, da cui – piaccia o no – dipende gran parte del nostro destino finanziario?
Partiamo da quest’ultimo interrogativo: gli alleati occidentali sicuramente vedono in Draghi una garanzia di affidabilità dell’Italia. Pertanto la sua presenza per sette anni al Quirinale sarebbe la massima garanzia di sorveglianza sull’attuazione del Recovery Fund. Tuttavia gli osservatori internazionali ben sanno che il Capo dello Stato in Italia ha una potere di persuasione morale, sicuramente amplificato negli ultimi anni, ma pur sempre insufficiente a contenere eventuali derive di inefficienza del governo e della politica politicante.
In altre parole Draghi è il più affidabile tra i protagonisti della politica italiana, ma il nostro sistema di relazioni internazionali spingerà sicuramente per una sua permanenza lunga a Palazzo Chigi, se possibile anche oltre il limite della legislatura. A ciò si aggiunga che il Parlamento non ha nessuna voglia di rinunciare al fattore di stabilità rappresentato dal premier Draghi. Se Draghi andasse al Quirinale, il tempo della legislatura sarebbe scaduto. E non è esattamente ciò che desidera la maggior parte del Parlamento.
È più facile dunque che al Quirinale venga eletta una figura più sbiadita, in modo da lasciare a Draghi l’intero proscenio internazionale, prenotando magari un secondo giro di governo all’indomani di elezioni politiche dal risultato tutt’altro che scontato.