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Guerra Fredda, ci risiamo. Così Biden finisce nel mirino

Dopo una lunga attesa, il Cremlino la lista dei Paesi “non amichevoli” per regolare i rapporti diplomatici. Ma ci sono solo due nomi: Stati Uniti e Repubblica Ceca. Che fine hanno fatto gli altri? L’analisi di Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca)

La tanto preannunciata lista dei paesi “non amichevoli”, con il compito di regolare i rapporti tra Mosca e le rappresentanze diplomatiche di quegli stati considerati ostili alla Russia, ha visto la sua prima redazione ufficiale. La pubblicazione della prima versione da parte del governo russo il 14 maggio vede però una lista molto ridotta, dove vi sono solo due paesi: gli Stati Uniti e la Repubblica Ceca.

Scomparsi i Paesi baltici, dell’Ucraina nessuna menzione né tantomeno della Polonia, Stati dati per certi quando sono apparse le prime notizie sul provvedimento a fine aprile. Un passo interessante, che probabilmente non sta a significare un arretramento tattico o un cambiamento di relazioni del Cremlino con le capitali dell’Est Europa, ma vede altri possibili sviluppi nelle relazioni con Washington e Bruxelles.

Le misure previste dalla lista riguardano la riduzione delle assunzioni di cittadini russi in ruoli tecnici all’interno delle rappresentanze diplomatiche, ma nel caso degli Stati Uniti la loro applicazione è stata rinviata al 1 agosto. Una decisione non del tutto inaspettata, perché è legata ai tentativi russo-americani di ricostruire dei rapporti bilaterali costanti, di cui l’annunciato (ma non fissato) summit tra Joe Biden e Vladimir Putin dovrebbe rappresentare l’inizio.

L’inclusione di soli due Paesi nella lista ha permesso a Mosca di presentare la propria posizione come “paziente” e “aperta al confronto”, secondo quanto dichiarato da Dmitry Peskov, portavoce del presidente russo. Una posizione che mira anche a presentare la Russia come non ostile verso i paesi europei, e che prende di mira la Repubblica Ceca, con cui vi sono negli ultimi mesi relazioni molto tese a causa degli scandali spionistici.

In realtà con Praga vi sono anche altre partite aperte, come la presenza nella capitale ceca di Radio Svoboda e Nastoyashchee vremya, media in lingua russa, finanziati dal Congresso americano e critici verso il Cremlino. Non vi sono state dichiarazioni ufficiali in cui si richiede la chiusura dei media (e Mosca probabilmente non ne farà, contraddirebbe la sua posizione proclamata di non ingerenza negli affari interni degli stati esteri), ma sia la radio che la web TV da tempo hanno l’obbligo di mettere il marchio di “inoagent” (agente straniero) sulle proprie notizie, provvedimento che Radio Svoboda ha infranto più volte, ricevendo sanzioni in denaro da parte delle autorità russe.

Però il caso ceco potrebbe anche essere indicativo di un tentativo di mettere maggiormente in luce le differenze di strategia e di approccio che vi sono tra i vari governi degli stati Ue verso la Russia, divergenze sviluppatesi ancora di più nel corso dell’ultimo decennio e che in parte rendono la politica di Bruxelles ad est debole e indecisa.

Un tentativo di Mosca per sondare le reazioni europee e per vedere se vi possano essere sviluppi verso una politica di dialogo o invece spostare l’Unione Europea su posizioni di maggiore chiusura. Una mossa tattica che però si muove nell’assenza di strategia da ambo le parti.

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