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Draghi e i partiti. Una settimana decisiva? La bussola di Ocone

Come far sì che le tensioni fra i partiti si stemperino gradualmente, in un’ottica di maturazione generale del nostro sistema politico, e soprattutto non si scarichino sul governo, sarà il problema dei prossimi giorni. Anche se Draghi probabilmente continuerà a non esplicitarlo. La bussola di Corrado Ocone

La settimana politica che si apre dovrebbe chiarire alcuni aspetti non secondari relativi all’evoluzione del governo Draghi e all’inevitabile intrecciarsi della sua azione con le grandi manovre dei partiti per l’elezione del Capo dello Stato (a poche settimane ormai dall’inizio del “semestre bianco”). Gli ultimi giorni sono stati segnati da una conflittualità intensa fra i partiti, e segnatamente fra i leader del Pd e della Lega, entrambi costretti a convivere in modo innaturale sotto uno stesso tetto. Il fatto che Mario Draghi non si sia minimamente scomposto segnala, da una parte, una cifra caratteriale del nostro presidente del Consiglio, abituato a concentrarsi sui fatti piuttosto che sulle dichiarazioni, e, dall’altra, la consapevolezza che alle dichiarazioni bellicose non possono seguire fatti concreti perché per nessuno dei contendenti può esserci in questa fase un minimo interesse a mandarlo a casa.

Però, essendo quella di Draghi un’esperienza che prima o poi dovrà concludersi con la restituzione dello scettro ai partiti, o meglio agli elettori che li votano, l’evoluzione della dialettica politica non può essere del tutto avulsa dagli obiettivi di un governo che si propone di rimettere sulla giusta carreggiata un Paese da tempo in declino storico e strutturale. La crisi del sistema politico, il declino dell’idea stessa di una classe dirigente, non può infatti essere considerata di secondaria importanza nel novero dei motivi di crisi del Paese. Gli elementi dirompenti rispetto alla schema di una civile convivenza sotto lo stesso tetto oggi, in vista di un futuro antagonismo democratico domani, sono equamente distribuiti a destra e a manca. Che l’interesse di Salvini sia quello di far durare presso l’elettorato la prevalenza, attestata dai sondaggi, del centrodestra, con la Lega primo partito nazionale, è innegabile. Così come lo è il fatto che questo interesse possa cozzare con la durata troppo prolungata del governo Draghi.

In quest’ottica, sono da intendersi le dichiarazioni rilasciate a caldo ai giornalisti dopo il buon esito del processo di Catania. L’endorsement a favore di Draghi nasconde anche l’impazienza di capitalizzare il prima possibile elettoralmente la primazia nel Paese. Ma a un esame più attento, occorre considerare che se Draghi non porta a termine le riforme, governare sarà un’impresa disperata per chiunque in un Paese socialmente e politicamente fallito. Si può perciò capire lo sfogo del segretario, scettico sulla possibilità di attuare la riforma della giustizia con la sinistra giustizialista nella compagine governativa, ma di uno sfogo appunto si tratta. Lo scetticismo deve essere temperato dalla consapevolezza che altrettanto difficile, e forse più, sarebbe farlo anche per un governo di destra: l’opposizione di settori non indifferenti del deep state, come dimostrano le esperienze dei governi Berlusconi del passato, sarebbe esiziale. La successiva dichiarazione di fedeltà a Draghi ha chiarito il carattere di mero sfogo dell’uscita di Salvini.

Anche a sinistra però la situazione non è semplice per Draghi. Tutto il coté contiano, fra Pd e 5 Stelle, si sente esautorato e, rimpiangendo i tempi andati, vorrebbe ricostituire la vecchia maggioranza, casomai allagandola a Forza Italia secondo lo schema Ursula. A questo schema, per motivi di identità, anche Letta fa riferimento, e in quest’ottica sono da intendersi le continue provocazioni che dal Nazareno partono verso il Capitano. Gli spazi d manovra per Letta, in verità,  non sono molti, come dimostrano le incertezze e i repentini cambi di strategia a cui ci ha abituato in questi primi mesi di leadership. La prospettiva di un rapido esaurimento anche della sua esperienza come segretario non è da sottovalutare. Da qui forse l’attivismo antisalviniano, che certo al governo non fa bene. Come far sì che le tensioni fra i partiti si stemperino gradualmente, in un’ottica di maturazione generale del nostro sistema politico, e soprattutto non si scarichino sul governo, sarà il problema dei prossimi giorni. Anche se Draghi probabilmente continuerà a non esplicitarlo.

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