È uscito il volume “Il pesce piccolo, una storia di virus e di segreti”, edito da Feltrinelli e scritto da Francesco Zambon, funzionario fino a marzo scorso della Organizzazione Mondiale della Sanità che firmò l’ormai famoso report ritirato nei primi mesi della pandemia. Marco Zacchera lo ha letto per Formiche.net
È uscito nei giorni scorsi un libro decisamente interessante: “Il pesce piccolo, una storia di virus e di segreti”, edito da Feltrinelli e scritto da Francesco Zambon, veneziano, già funzionario per 13 anni della Organizzazione Mondiale della Sanità fino alle sue (imposte) dimissioni dall’Oms nel marzo di quest’anno.
Una denuncia serrata – ed oggetto di indagine da parte di diverse Procure, che ci si augura vadano fino in fondo – da una parte sui clamorosi “buchi” della sanità italiana soprattutto per quanto riguarda i piani di contrasto alle pandemie (il piano nazionale sembra fosse fermo al 2006) ma soprattutto apre una nuova luce – decisamente inquietante – sull’Oms, che da organismo Onu per aiutare la salute di tutti si è trasformato in un carrozzone politico che porta delle pesantissime responsabilità per la pandemia di Covid che sta squassando il mondo.
Zambon ricorda bene l’angoscia delle prime settimane quando – come per la peste manzoniana – non si poteva neppure parlare di “pandemia” e dimostra come le pressioni politiche abbiano condizionato l’azione dell’Oms tesa a coprire le responsabilità di Pechino.
Zambon si sofferma sul caso italiano dove il piano pandemico era (ed è) vecchio di 15 anni e come si sia cercato in ogni modo di bloccare il suo lavoro che in qualche modo disturbava i vertici del governo – gravi le accuse allo staff di Speranza – e soprattutto alla direzione internazionale dell’Oms che, imbarazzata, ha “ritirato” il rapporto pochi giorni dopo la sua pubblicazione ufficiale.
Nonostante le censure a livello mondiale emergono però sempre più chiaramente le responsabilità morali, sanitarie e “politiche” dell’Oms e dei suoi dirigenti a cominciare da quelle del direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, già problematico ministro della salute in Etiopia dal 2005 al 2012.
Un Paese, l’Etiopia, che – cosa sconosciuta ai più – è diventato uno dei più strutturati avamposti cinesi in Africa e che politicamente, economicamente e militarmente dipende ormai da Pechino rappresentandone gli interessi in tutto il continente e specialmente nel Corno d’Africa.
Proprio grazie a questi precedenti e all’influenza che Pechino ha soprattutto su tanti piccoli Paesi del mondo che con i loro voti controllano l’Assemblea Generale dove gli Usa “contano” (altro elemento sconosciuto al grande pubblico) come un’isoletta caraibica, Tedros nel 2017 venne nominato direttore dell’Oms.
Attento alla “realpolitik” e alle influenze cinesi in Africa, Tedros – appena nominato – scelse proprio il suo “grande elettore” e dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe ad “ambasciatore di buona volontà” dell’Oms sostenendo che fosse a capo “di un Paese che mette al centro delle sue politiche la copertura sanitaria universale nonché la promozione della salute, così da garantire cure sanitarie a tutti”.
Chi viaggia in Africa sa bene quale sia stato il progressivo grado di corruzione, violenza e povertà dello Zimbabwe durante i decenni di potere assoluto di Mugawe dal 1980 al 2017. Un dittatore che – usando un eufemismo – non solo era agli antipodi della democrazia, ma che ha distrutto quello che una volta si chiamava Rhodesia ed era uno dei più sviluppati Paesi dell’Africa.
Nel libro di Zambon emergono le strategie di Pechino nel controllo del mondo e come vengano stroncati quei Paesi che la Cina non vuole ammettere neppure che esistano come Taiwan, dove il Covid è stato contenuto e vinto con minime perdite umane.
Una realtà molto interessante, un sistema medico e di tracciamento all’avanguardia, ma che per Pechino è solo (da 70 anni) “una provincia ribelle”. Succube e silenzioso, l’intero consesso mondiale è sembrato docilmente inchinarsi a Pechino senza considerare che il “Modello Taipei” avrebbe potuto forse far risparmiare milioni di morti e sicuramente che Taiwan ha comunque lanciato l’allarme Covid ben prima che le autorità di Pechino (e l’Oms) ne ammettesse perfino l’esistenza.
Ad oggi solo per motivi politici Taiwan non è neppure ammessa nell’Oms e guai a quei Paesi che ne chiedono il riconoscimento almeno sostanziale, se non formale.
Una vera omertà che è proseguita quando l’anno scorso una risoluzione dell’Assemblea mondiale della salute ha affidato a tredici personalità internazionali il compito di indagare su perché il coronavirus fosse dilagato nei Paesi Oms in maniera così devastante.
I tredici hanno rapportato che le più grandi responsabilità ricadono proprio sull’Oms. «”Viviamo nel ventunesimo secolo, ma ci siamo comportati come nel Medioevo”, ha denunciato la co-presidente della commissione d’inchiesta, l’ex premier neozelandese Helen Clark, così come l’altra guida del gruppo dei tredici, l’ex presidentessa liberiana Ellen Johnson Sirleaf, premio Nobel per la Pace nel 2011.
Report clamorosi ma poco diffusi, anche perché la decisione di Donald Trump di schierarsi apertamente contro l’Oms denunciandone le inefficienze ha avuto come conseguenza una sua preconcetta difesa d’ufficio da parte di tutti gli “anti-Trump” del mondo, italiani compresi, e in questo senso va anche la recente decisione di Biden di rimettere gli Usa alla testa dei Paesi “donatori” dell’Oms.
Alla fine la politica ha contato e conta tuttora più del buonsenso e della trasparenza: a pensarci è veramente una assurda, ipocrita follia.