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Contro i cambiamenti climatici, coltivazioni sostenibili

Di Giuseppe Allocca

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che l’Onu ha fissato per incoraggiare e migliorare la sostenibilità delle filiere produttive sono certamente d’aiuto. Tra le filiere che contribuiscono maggiormente al raggiungimento degli obiettivi c’è quella dell’olio di palma sostenibile che ha un ruolo chiave nella riduzione della povertà e della fame e assicura lavoro dignitoso e crescita economica. L’intervento dell’avvocato Giuseppe Allocca, presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile

Il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza conferma la volontà dell’Italia di promuovere lo sviluppo sostenibile. La transizione ecologica non è altro che la trasformazione delle filiere e dei processi produttivi, ma anche di tutte le attività umane, per raggiungere un migliore equilibrio con l’ambiente.

La sostenibilità ambientale è, infatti, il rapporto di equilibrio tra le attività dell’uomo e la tutela dell’ambiente, del clima e della biodiversità. Questo equilibrio è molto difficile da raggiungere semplicemente perché sul nostro pianeta siamo in 7,6 miliardi di cittadini tutti affamati e con un legittimo desiderio di prosperare consumando. Nel minuscolo Occidente, dove le nascite son in calo drammatico (si vedano gli ultimi dati Usa), consumiamo più che nel resto del popoloso globo, quello più povero, dove invece, la popolazione cresce esponenzialmente. Qui aumenteranno i consumi e di conseguenza l’impatto sull’ambiente.

Per la Fao ogni cittadino del pianeta necessita di 2.500 Kcal (nei Paesi in via di sviluppo, 2.200 in Europa per gli uomini, 1.800 per le donne) per mantenere un benessere psicofisico dignitoso. Questa energia è fornita da nutrienti diversi, grassi, proteine, zuccheri, ecc. Per produrre tutti questi nutrienti servono anche risorse naturali (terreni, acqua), energia che rilascia CO2, fitofarmaci e fertilizzanti, ecc. Qui sta il problema. E dal momento che la popolazione è destinata a crescere fino a 10 miliardi nel 2030, avremo bisogno di una enormità di calorie giornaliere che richiedono sempre più terra e produrranno sempre più impatti ambientali. Gli sforzi intrapresi fino ad ora non sono stati sufficienti.

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) che l’Onu ha fissato per incoraggiare e migliorare la sostenibilità delle filiere produttive sono certamente d’aiuto. Purtroppo però, siamo molto lontano dal raggiungerli. Tra le filiere che contribuiscono maggiormente al raggiungimento degli Sdg c’è quella dell’olio di palma sostenibile. Ha un ruolo chiave nella riduzione della povertà e della fame, assicura lavoro dignitoso e crescita economica, riduzione delle diseguaglianze, contribuisce alla lotta contro il cambiamento climatico e a proteggere la vita sulla terra, promuove partnership per il raggiungimento degli obiettivi.

Eppure l’olio di palma in Europa è stato ed è ancora ingiustamente boicottato per ragioni evidentemente commerciali e di protezionismo economico e politico. Ma sono stati anche gli attacchi e le critiche, soprattutto in Europa, che hanno sollecitato governi e produttori ad investire nella sostenibilità, facendone la filiera, non solo tra i grassi e gli oli vegetali, con il maggior numero di schemi di certificazione in concorrenza tra loro. Questi schemi certificano tre variabili fondamentali: la riduzione della deforestazione, la tutela della biodiversità, il rispetto dei diritti e la maggiore inclusione dei lavoratori e delle comunità locali. I Paesi produttori di olio di palma, Indonesia (maggiore produttore al mondo) e Malesia, tra tutti, hanno compreso che la sostenibilità non è un costo necessario per salvaguardare l’ambiente, ma un’opportunità di crescita economica e di sviluppo sociale.

Il Pil è cresciuto considerevolmente grazie alle piantagioni, così come i salari, gli investimenti, l’accesso all’educazione e alla sanità, ecc. Solo per dare un esempio, la filiera dell’olio di palma dà lavoro a 19,5 milioni di indonesiani (7 milioni direttamente e 12,5 indirettamente), di cui 2,6 milioni sono piccoli proprietari.

Parallelamente, come i dati più recenti del Global Forest Watch dimostrano, il numero degli incendi si è ridotto progressivamente e con essi la deforestazione grazie alle moratorie e le sagge politiche intraprese dai governi di Jakarta e Kuala Lumpur, come il National Action Plan for Sustainable Palm Oil indonesiano.

In Italia e in Europa si continuano, perversamente, a raccontare numeri e fatti diversi. Non ci si rende conto che così facendo non si boicotta solo un prodotto o pochi Paesi, ma si pregiudica lo sviluppo sostenibile. I nemici del pianeta non sono le filiere che investono nella sostenibilità, ma coloro che le boicottano. L’olio di palma è un ingrediente sicuro e può essere prodotto in modo responsabile, ma oggi è necessario per nutrire il pianeta. C’è molto da fare ancora, certamente, ma la via da seguire è quella intrapresa. Le certificazioni vanno migliorate, ma ci sono, a differenza di molte altre filiere che sono ancora sprovviste. Gli stimoli sono utili se critici e costruttivi. Per esempio, la domanda di olio di palma sostenibile è ancora troppo bassa rispetto all’offerta, e la ragione va ricercata anche in Europa, tra coloro che lo boicottano inducendo anche i consumatori a preferirgli ingredienti meno sostenibili.

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