È iniziata la due-giorni del ministro Lorenzo Guerini tra Mali e Niger, dove l’Italia sta aumentando la sua presenza militare. Il contrasto del terrorismo jihadista è precondizione di sicurezza e controllo dei flussi migratori lì dove si originano. I primi assetti per la task force Takuba sono arrivati. Ecco i dettagli e le attese per la delibera sulle missioni
“L’Italia intende rafforzare la sua presenza nel Sahel”. È il messaggio che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha portato a Bamako, capitale del Mali, nell’incontro con il vice presidente del governo di Transizione Assimi Goïta e con il segretario generale delle Forze armate Souleymane Doucoure. Il titolare di palazzo Baracchini è arrivato ieri nel Paese africano, iniziando una due-giorni che comprende anche il Niger, lì dove l’Italia ha iniziato a costruire una nuova base logistica per supportare le operazioni militari. L’area è al centro dell’interesse italiano: sicurezza e controllo dei flussi migratori. La lotta al terrorismo è funzionale a creare le condizioni per un efficace azione di cooperazione allo sviluppo, risolvendo alla radice il problema oltre la facile dialettica dei respingimenti in mare.
LA VISITA
Accompagnato dal capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli, il primo incontro è stato con i militari italiani, impegnati nel Paese nell’ambito di missioni Ue e Onu. L’Italia, ha scritto Guerini, è impegnata “nella lotta al terrorismo e per la stabilità della regione”. Da essa “dipende la nostra sicurezza”, ha ribadito il ministro. Poi l’incontro con i vertici militari maliani: “Supporto a istituzioni e lotta al terrorismo sono al centro dell’impegno della comunità internazionale e dell’Italia, che in Sahel intende rafforzare sua presenza”.
LA MISSIONE
Proprio in Mali ha già preso il via la partecipazione italiana alla task force Takuba, l’impegno promosso da Parigi per cercare di dare una svolta alla lotta al terrorismo nell’area. Lanciata da Emmanuel Macron nel 2019, si inserisce nell’iniziativa politica della Coalizione per il Sahel, configurandosi come impegno multinazionali di forze speciali, destinato a combattere le milizie jihadiste che operano in una regione grande quanto l’Europa. Già dal 2018 Parigi ha iniziato a chiedere supporto agli alleati europei nell’area per l’operazione nazionale Barkhane, avviata nell’estate del 2014 come evoluzione della missione Serval. La richiesta ha preso la forma di Takuba, lanciata ufficialmente nella primavera dello scorso anno con undici Paesi a offrire la loro partecipazione (quanto meno sulla carta, comprese Germania e Regno Unito). Dallo scorso aprile Takuba è pienamente operativa e ha già registrato i primi combattimenti, contando soprattutto sui cinquemila militari transalpini presenti nel Sahel.
LA PARTECIPAZIONE ITALIANA
Per quanto riguarda l’avvio della partecipazione italiana, la prima comunicazione ufficiale si trova nell’Atto di indirizzo del 2021 siglato dal ministro Guerini. Il documento offre il riferimento del vertice dicasteriale per la programmazione finanziaria pluriennale. Si legge: “La partecipazione alla task force Takuba, già decisa nel 2020, prevede l’impiego di elicotteri per attività di evacuazione medica e, recentemente, ha visto l’avvio delle attività, con la partenza della prima aliquota di personale”. In effetti, già nella delibera per le missioni dello scorso anno, il Parlamento italiano ha autorizzato un dispiegamento massimo di 200 militari (venti mezzi terrestri e otto aerei), previsto in consistenza media di 87. Poi non si è saputo più nulla, almeno fino allo scorso marzo, quando Guerini ha confermato alle Commissioni Difesa di Senato e Camera che il primo nucleo italiano era arrivato “da poco in Mali”. Qualche giorno dopo, su Repubblica, il ministro spiegava: “Schiereremo uno squadrone di elicotteri da evacuazione media”.
E IN NIGER?
La visita di questi giorni conferma i piani italiani, non solo su Takuba, ma anche per il Niger, dove l’Italia è presente dal 2018 con la “Missione bilaterale di supporto”, per cui nel 2019 e nel 2020 si è autorizzato un dispiegamento massimo di 290 militari, 160 mezzi terrestri e cinque mezzi aerei. Ora si sta realizzando una “base logistica di collaborazione”, ha detto Guerini a marzo. Ad aprile, alla Commissione Esteri della Camera, il ministro spiegava: “In Niger rafforzeremo ulteriormente la nostra presenza con la costruzione, di recente avvio, di un ulteriore hub nazionale proprio nella capitale del Paese, Niamey, che sarà funzionale alle attività della missione bilaterale Misin e a quelle della già citata Takuba”. Nella capitale oggi Guerini ha incontrato l’omologo nigerino Alkassoum Indattou.
IL TRIANGOLO AFRICANO
Il tutto è al centro del “triangolo” già descritto da Guerini, rappresentazione ideale della sezione meridionale del “Mediterraneo allargato”, lì dove si concentra l’interesse nazionale di sicurezza e stabilità. Agli spigoli del triangolo ci sono Corno d’Africa, Golfo di Guinea e Libia. Al centro il Sahel. In tutti questi scenari, l’Italia ha accresciuto il suo impegno nell’ultimo biennio, e si appresta a confermare tale postura nella prossima delibera missioni che, ha detto Guerini, potrebbe arrivare a fine mese in Parlamento. Se si prende in considerazione il ritiro dall’Afghanistan, emerge un riorientamento della proiezione militare italiana verso interessi più diretti, con la stabilizzazione della Libia in cima alla lista delle “priorità”.
L’IMPEGNO EUROPEO
Si accompagna all’impegno (politico e diplomatico) in sede europea, volto a garantire un maggior coordinamento con i partner del Vecchio continente verso l’Africa. Il tema libico è onnipresente nei dialoghi dei ministri italiani con le controparti europee, così come il Sahel e il più generale approccio al “fronte sud”, espressione altrettanto ricorrente nelle richieste italiane recapitate nel contesto Nato. Due giorni fa, la partecipazione di Mario Draghi al vertice sull’Africa voluto da Emmanuel Macron a Parigi conferma che l’allineamento con la Francia è finalmente stato raggiunto. In tal senso, si è assistito negli ultimi mesi alla crescente convergenza, con i transalpini ad abbandonare posizioni ambivalenti sul dossier libico (sposando il percorso onusiano, sempre sostenuto da Roma), e l’Italia a dare seguito alla partecipazione a Takuba, rispondendo alla richiesta di supporto di Parigi.
IL COMMENTO
In termini operativi, la task force tenta “di dare una svolta a una situazione nel Sahel che la sola operazione Barkhane non riusciva a controllare dal punto di vista della sicurezza militare”, ci ha spiegato il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi. “È un’operazione di contro-terrorismo (non “anti”), dunque con finalità risolutive e ultimative nei confronti della minaccia jihadista che interessa l’area, un universo che fa capo sostanzialmente al Califfato e ad al Qaida”, ha aggiunto. Interessa l’Italia? “Chiaramente sì; nel Sahel sta maturando una minaccia che ci interessa direttamente; essendo caduto il muro del controllo del territorio che Gheddafi esercitava in Libia, dall’area si sale tranquillamente al Mediterraneo; col venire meno di un’autorità forte e unita in Libia (ora le cose sembra poter cambiare, ma staremo a vedere), è venuto giù anche il muro che escludeva dal Mediterraneo le aree turbolente a sud del Sahara”.