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Così il mondo può superare l’era delle pandemie. Scrive Testori Coggi

Di Paola Testori Coggi

Il Covid-19 ci ha insegnato che la salute della popolazione mondiale può essere messa in pericolo da eventi e azioni di una parte del mondo e che la protezione di questa salute dipende da soluzioni globali: questa è una responsabilità a cui nessun Paese può sottrarsi. L’analisi di Paola Testori Coggi, Lead Co-Chair, T20 Task Force on Global Health and Covid-19, pubblicato nel primo numero della rivista Healthcare Policy

Pubblicato nel primo numero di Healthcare Policy

La pandemia da coronavirus, con più di 3 milioni di morti e 150 milioni di malati, non è solo una calamità sanitaria, è un totale sconvolgimento economico, sociale, politico e culturale in tutte le regioni del pianeta. Questa pandemia ci ha obbligato a prendere atto che la salute è il fondamento e l’elemento essenziale della società e dell’economia: dalla salute dipende il nostro benessere complessivo, inteso come lavoro, reddito, educazione e formazione, stile di vita, relazioni sociali, cultura; quindi tutte le risorse investite nella salute, sia essa cura che prevenzione, sono un investimento nel benessere e nella crescita degli individui e della società.

Purtroppo le nostre previsioni sulla capacità di gestire una tale emergenza erano errate e i nostri sistemi sanitari, anche nella maggior parte dei Paesi più avanzati, non erano preparati a rispondere a un impatto di tali dimensioni, non soltanto in risposta al Covid-19, ma anche per garantire la continuità di trattamento delle malattie croniche e le normali attività di cura dei pazienti e di prevenzione per tutti i cittadini. Di conseguenza questa pandemia deve essere il catalizzatore per una modifica fondamentale e sistemica delle nostre capacità di prevenzione, preparazione e risposta a eventi di questo tipo. E questa modifica dei meccanismi e delle strutture esistenti deve essere implementata a tutti i livelli, dalle comunità locali ai più alti livelli internazionali: un mondo sempre più interconnesso e interdipendente richiede nuove politiche sanitarie e di prevenzione nel segno di un più forte coordinamento internazionale.

Il Global health summit, che l’Italia ha ospitato a Roma il 21 maggio, è stato l’occasione per delineare con i leader dei Paesi del G20 e delle organizzazioni internazionali le modifiche necessarie al fine di migliorare i sistemi di prevenzione e sorveglianza e di coordinare la preparazione e la risposta alle epidemie a livello nazionale, europeo e internazionale. L’Unione europea ha già dato una risposta molto decisa, proponendo una vera e propria Unione europea della salute, che ora è in discussione con gli Stati membri. Essa prevede piani nazionali di emergenza integrati e verificati, un nuovo sistema di allerta e sorveglianza altamente performante, raccolta dei dati sanitari secondo protocolli armonizzati, stessi metodi diagnostici, misure di intervento coordinate, e una nuova Agenzia europea sulle emergenze sanitarie (Hera) per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di medicine e vaccini; ora spetta agli Stati europei adottare queste proposte e trasformarle in realtà.

L’Italia, con la presidenza del G20 e con il Global health summit, può sostenere a livello internazionale i principi e i contenuti dell’Unione europea della salute e promuovere, a livello dei Paesi del G20, il modello europeo di solidarietà ed equità e un’azione collettiva e coordinata in materia di sistemi di allerta, piani di emergenza, sorveglianza sanitaria, vaccinazioni e altre contromisure mediche. Si comincia a parlare di un nuovo Treaty for pandemic preparedness and response, ed è probabile che questo sia discusso all’Assemblea annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità che si riunisce questo mese. Sarà un passo importante ma che deve poi essere implementato rapidamente e con efficacia.

Uno dei fattori critici, che anche per il Covid-19 non ha funzionato bene, è l’allerta rapida: il sistema attuale per rilevare nuovi agenti patogeni, patogeni resistenti e altre fonti potenziali di rischio è inadeguato, perché troppo lento, incompleto, frammentario e a volte influenzato da pressioni politiche. Si deve organizzare un nuovo sistema di allarme rapido per i rischi sanitari emergenti, basato su una rete potenziata di monitoraggio e analisi, a cui gli scienziati devono poter contribuire liberamente e che operi sulla base dell’approccio One health, cioè la salute dell’uomo, degli animali, del mondo vegetale e dell’ambiente legati indissolubilmente e in stretta relazione in tutte le regioni del mondo: dobbiamo essere in grado di individuare tempestivamente i rischi derivanti dalla diffusione delle malattie animali, dalla resistenza antimicrobica, dai cambiamenti climatici, dalle pressioni sulla biodiversità, e controllare all’origine ogni possibile insorgenza di nuovi agenti infettivi.

Un altro fattore critico è la sorveglianza sanitaria che è importante in tempo di pace, ma che diventa cruciale durante un’emergenza. Si deve migliorare la raccolta e l’analisi dei dati epidemiologici non solo relativi all’andamento della pandemia, ma anche delle altre malattie, degli indicatori sui sistemi sanitari e sulla forza lavoro sanitaria, delle misure mediche, prima fra tutti la vaccinazione, che oggi sono validati e comparabili solo in alcune regioni del mondo.

In conclusione, il Covid-19 ci ha insegnato che la salute della popolazione mondiale può essere messa in pericolo da eventi e azioni di una parte del mondo e che la protezione di questa salute dipende da soluzioni globali: questa è una responsabilità a cui nessun Paese può sottrarsi.

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