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Aung San Suu Kyi appare in pubblico per la prima volta dal colpo di Stato

La leader della Lega Nazionale per la Democrazia, agli arresti domiciliari, è vittima di un processo politicamente motivato. La sua apparizione prelude alla dissoluzione del suo partito da parte della giunta militare al potere. A quasi quattro mesi dal golpe, ecco cosa sta succedendo in Myanmar

Stamattina Aung San Suu Kyi, premio Nobel e leader del governo democratico birmano deposto a febbraio, è apparsa fisicamente in aula di tribunale per la prima volta in una stanza speciale nella capitale Naypyidaw. I suoi legali hanno raccontato che la sua breve apparizione le ha consentito di perorare davanti ai giudici la legittimità del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, che la giunta militare al potere sta cercando di obliterare.

Molti nel gruppo di difensori legali di Suu Kyi l’hanno vista per la prima volta nella mezz’ora antecedente al processo, quando è stato permesso loro di conferire con la leader. Ai media hanno raccontato di averla trovata in buona salute, per quanto all’oscuro della reale situazione del Paese. Khin Maung Zaw, uno degli avvocati difensori, ha riportato le sue parole: “il nostro partito è nato dalle persone, quindi esisterà finché le persone lo sosterranno”.

Suu Kyi è agli arresti domiciliari da febbraio, ossia da quanto lei e la maggior parte dei funzionari statali sono stati deposti e imprigionati dall’esercito del Myanmar, la Tatmadaw. La settantacinquenne è stata imputata di “incitamento alla sedizione”, accusa che potrebbe risolversi in un ergastolo e va ad aggiungersi a una ridda di altre, tra cui corruzione, divulgazione di segreti ufficiali, aver “causato paura e allarme nella popolazione”, mancato rispetto del distanziamento sociale e importazione e detenzione illegale di radioline.

Il processo a Suu Kyi è parte integrante della strategia dei generali birmani per legittimare il golpe, avvenuto pochi mesi dopo la vittoria schiacciante della Lega Nazionale per la Democrazia sul partito vicino alla Tatmadaw. La giunta accusa la Lega di aver truccato le elezioni, riconosciute come legittime dalla maggior parte dei governi mondiali e dalle Nazioni Unite, come anche dagli enti internazionali dedicati e gli scrutatori indipendenti. Venerdì scorso l’ufficiale governativo per le elezioni installato dalla giunta ha descritto il partito come un “terreno fertile per traditori” e terroristi, promettendone la dissoluzione.

Nel frattempo, il Paese è nel caos. La giunta militare ha promesso elezioni “libere e giuste” ma continua a spingere la data più in là. Nel mentre si è dedicata a isolare il Myanmar dalla comunità internazionale, prendere il controllo dei media, limitare l’accesso a internet e sopprimere il dissenso interno. Secondo l’Associazione di assistenza per i prigionieri politici (AAPP) il bilancio delle vittime civili si aggira attorno a 800 e ci sono stati più di 4.000 arresti. Non si contano gli sfollati e coloro che hanno deciso di fuggire in Cina, India o Thailandia.

In genere i manifestanti sono pacifici, dediti alle marce e alla disobbedienza civile, fotografati dalla stampa internazionale con le mascherine al volto e indice, medio e anulare della mano alzati al cielo, in un gesto ispirato da un celebre film di Hollywood e divenuto il simbolo della protesta pro-democrazia. Ma negli ultimi giorni sono comparse piccole milizie locali nelle regioni di confine, dove la Tatmadaw si scontra da decenni con i rappresentanti armati di minoranze etniche spesso finite sotto il tacco di Naypyidaw. Addirittura, riporta il New York Times, le tensioni tra i diversi gruppi etnici si stanno allentando di fronte alle azioni brutali del regime militare.

Giovedì scorso l’inviato speciale dell’Onu Tom Andrews ha invitato tutte le nazioni a seguire l’esempio di Stati Uniti, Canada e Regno Unito, dopo che queste hanno apposto ulteriori sanzioni sugli ufficiali (anche civili) del governo guidato dalla giunta militare, intervenendo (tra le altre cose) sui profitti che i generali traggono dalle risorse naturali del Myanmar. Sul fronte interno, il portavoce della Lega Nazionale per la Democrazia Aung Kyi Nyunt ha dichiarato che l’abolizione del partito per mano di un “potere illegittimo” non sarebbe avvenuta. Ma per come stanno le cose adesso, sembra improbabile che i generali allentino la presa su Naypyidaw.


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