Gli scienziati cinesi hanno deciso di pubblicare solamente ora i risultati delle loro ricerche sui virus dei pipistrelli, alimentando il sospetto che la Cina continui a manipolare la narrativa attorno all’origine del Covid-19 (nei giorni in cui il laboratorio cinese torna sotto i riflettori globali)
I ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan hanno scoperto un nuovo ramo della famiglia dei coronavirus presente nei pipistrelli. È la prima volta che il laboratorio, epicentro di svariate teorie sulla nascita del virus che causa il Covid-19, condivide i risultati delle proprie ricerche in materia. E il tempismo del comunicato alimenta il sospetto che la Cina continui a manipolare il discorso pubblico intorno all’origine della pandemia.
La ricerca, uscita in anteprima venerdì scorso e vista dal South China Morning Post, descrive il genoma dei nove coronavirus scoperti nel 2015 nelle cave abbandonate della provincia dello Yunnan, nell’estremo sud-ovest della Cina. I lavori di ricerca sono iniziati quando diverse. I ricercatori hanno poi confermato che non si trattava di Covid-19.
Quei nuovi virus sono imparentati alla lontana con il Sars-CoV-2 (il virus responsabile della pandemia di Covid-19 in corso) ma abbastanza diversi – otto su nove condividono al massimo il 77% del genoma – da rendere il salto di specie fino agli esseri umani molto improbabile. A ogni modo, gli autori della ricerca hanno scritto che “i risultati suggeriscono che i [coronavirus] che abbiamo scoperto nei pipistrelli potrebbero essere solo la punta dell’iceberg”.
La pubblicazione della ricerca sembra invalidare la teoria di alcuni 007 americani, emersa domenica scorsa, secondo cui il Sars-CoV-2 potrebbe aver avuto origine nel laboratorio di Wuhan. Secondo il rapporto svelato dal Wall Street Journal tre ricercatori dell’Istituto di virologia si sarebbero ammalati a novembre 2019 con sintomi coerenti “sia con il Covid-19 che una comune infezione stagionale”.
Il laboratorio e Pechino hanno respinto questa teoria con forza. Secondo gli scienziati coinvolti in un’investigazione dell’Organizzazione mondiale della sanità nel laboratorio di Wuhan, è “estremamente improbabile” che il Covid sia fuggito da lì, anche se un coro di critici – tra cui il capo della stessa Oms – hanno sottolineato come sia impossibile escludere quell’eventualità a causa dell’accesso limitato garantito agli scienziati dalla Cina. Diversi Paesi stanno spingendo per un’indagine più approfondita.
I ricercatori di Wuhan sottolineano nella ricerca come gli studi sul virus più simile al Sars-CoV-2 (identico al 96%, comunque relativamente lontano, e già reso noto alla comunità internazionale nei mesi scorsi) hanno indicato la sua difficoltà nel legarsi alle cellule umane. Altri esperti internazionali, sulla base della ricerca appena pubblicata, hanno convalidato la distanza genetica tra il virus del Covid-19 e quelli scoperti nello Yunnan. Però non è chiaro perché il laboratorio di Wuhan abbia deciso di pubblicare quella ricerca solo ora.
Il cinismo suggerisce che Pechino abbia voluto far uscire la ricerca per contrastare le accuse di mancata trasparenza che gli sono piovute addosso dall’inizio della pandemia, cercando al contempo di confutare ulteriormente qualsiasi responsabilità nella diffusione del Covid-19. Peraltro la ricerca è stata pubblicata appena prima dell’assemblea internazionale dell’Oms sulla pandemia e sulle misure da adottare per evitare quella successiva. Quello che è certo è che l’opacità del regime cinese in materia (e la sua tendenza alla censura, esemplificata nei primissimi mesi della pandemia) non aiuta a consolidare l’immagine di un interlocutore affidabile.