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Chi guiderà il Corpo delle Capitanerie di porto? I suggerimenti di Tricarico

Il 25 luglio Giovanni Pettorino cesserà dall’incarico di comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto. Il ministro Giovannini dovrà proporre in tempo utile al Consiglio dei ministri il nominativo del suo sostituto. Dopo le parole del premier Draghi sui temi migratori al vertice europeo, la delicatezza del ruolo è palese a tutti. I suggerimenti del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa

Tra le nomine nell’agenda del governo nelle prossime settimane e mesi, una in particolare non suscita mai clamore o prospettazione mediatica, passa di norma sotto silenzio e quindi non gode dell’azione stimolatrice della stampa che per quanto sensazionalistica o maldestra, indirizza comunque i decisori sui passi giusti evitando (ma purtroppo talvolta accade) che un coniglio emerga dal cilindro di turno. Il 25 luglio Giovanni Pettorino cesserà dall’incarico di comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, e il ministro Enrico Giovannini dovrà proporre in tempo utile al Consiglio dei ministri il nominativo del suo sostituto.

Già da anni l’incarico ha assunto un rilievo di spessore sempre più consistente di quello che il sentire comune gli attribuisce, ma se questo non bastasse, ad attirare l’attenzione sulla delicatezza della nomina ci ha pensato ieri 25 maggio il presidente del Consiglio Mario Draghi, lasciando intravedere la durezza dei negoziati internazionali nei mesi e anni a venire in materia di regolazione delle immigrazioni illegali e della gestione dei flussi in arrivo in Europa.

Le responsabilità di una scelta giusta quindi vengono irrobustite dalle prospettive di interlocuzioni internazionali non proprio rosee, e quindi mai come ora va individuata la persona più attrezzata da cui il governo dovrà farsi accompagnare nelle prossime dure sfide. I requisiti del candidato su cui puntare paiono piuttosto chiari: dimestichezza con la dimensione internazionale, familiarità con le operazioni, solidità di carattere in risposta alle presumibili pressioni di ogni tipo, da quelle mediatiche a quelle di contesto politico e sociale. La familiarità con i contesti multinazionali, da quelli di settore a quelli più propriamente politico istituzionali, pare la qualità da profondere a più piene mani per far valere non solo le buone ragioni di un Paese di frontiera, ma anche un ruolo guida sotto il profilo tecnico, ruolo che dobbiamo senza falsi pudori rivendicare e consolidare grazie alla professionalità universalmente riconosciuta alla nostra Guardia Costiera dagli addetti ai lavori degli altri Paesi.

Ormai è indilazionabile il momento in cui si giochi anche di attacco ponendo sul tavolo negoziale le questioni vere, quelle strutturali che un giorno o l’altro andranno affrontate seriamente quali la responsabilità degli Stati di bandiera, il percorso verso una guardia costiera europea, la applicabilità della norme per il soccorso in mare alle fattispecie migratorie, l’individuazione di una autorità unica europea per la regolazione delle attività di soccorso (come accade nell’aviazione commerciale) o l’inserimento nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo di norme aggiuntive che tutelino la vita in mare. Ecco perché il prossimo comandante delle Capitanerie dovrà avere un vissuto internazionale di primo livello.

Tralasciando le doti caratteriali, un secondo requisito pare rilevare in maniera ineludibile: quello di aver ricoperto ed a lungo incarichi operativi significativi. Di avere insomma alla mano norme, procedure, conoscenze, rituali e ogni altra esperienza sul campo che consenta decisioni immediate e attività di supporto decisionale al governo senza intermediazioni interne, soprattutto nell’immediatezza di certe decisioni. Tenga presente poi, il ministro Giovannini, che il Corpo delle capitanerie come nessun altro è collegato funzionalmente a tanti ministeri in virtù delle sue disparate competenze. Alcuni di questi hanno formale titolo a esprimersi sulla nomina, altri no. Nell’un caso o nell’altro la stella polare non può che essere quella appena descritta, a evitare proposte interessate che potrebbero prima o poi prendere corpo sotto mentite spoglie, nell’intento di utilizzare la nomina come cavallo di Troia per scopi che nulla hanno a che fare con il mantenimento di una capacità centrale per il Paese.


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