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Ecco la Nato che ci serve. Parla il sottosegretario Della Vedova

Rapporto Ue-Nato, sguardo verso l’Indo-Pacifico, lotta alla corruzione e contrasto al crimine internazionale. Intervista con Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, che sarà ospite della conferenza Nato 2021- Rebuilding the consensus for a new era organizzato dalla Nato Defense College Foundation

Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, sarà ospite della conferenza NATO 2021- Rebuilding the consensus for a new era organizzato dalla NATO Defense College Foundation. Lo raggiungiamo per inquadrare le prossime sfide degli alleati ma non solo.

Con l’avvento di Joe Biden si parla meno di autonomia strategica europea e del rapporto tra Unione europea e Nato. È bastato il cambio di guardia alla Casa Bianca?

Come europei non possiamo che apprezzare l’affetto e la fedeltà nei nostri confronti espressi da parte del presidente Biden dal momento del suo insediamento. Allo stesso tempo l’avvento di Donal Trump cinque anni fa ha dimostrato come 75 anni di politica estera americana possono radicalmente trasformarsi da un giorno all’altro. Per noi è stato uno shock dal quale ci stiamo riprendendo solo ora grazie anche al cambio della guardia alla casa bianca. È innegabile che la politica estera della nuova amministrazione usa stia rafforzando il fronte transatlantico che da oltre 70 anni presidia i valori della democrazia e del rispetto dei diritti umani nell’area occidentale e non solo. Ciò detto, e lo dico da atlantista convinto, può l’Europa rimanere in balia di oscillazioni usa che vanno da un multilateralismo condizionato a un multilateralismo assertivo? O deve mantenere la sua autonomia strategica gerarchizzando i suoi interessi tattici a prescindere dalla sua fedeltà transatlantica?

Anche per questo una maggiore integrazione europea, sia nel campo della politica estera sia in quello della difesa, è un tema che non si può più rimandare, iniziando anche a riflettere, come ha suggerito il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, sulla necessità di superare il potere di veto dei singoli stati. Al contempo però, di fronte alle crescenti sfide a livello globale verso i valori incarnati dall’occidente, è impossibile prescindere da un forte rapporto con gli stati uniti e quindi dalla Nato, come pilastro della nostra sicurezza. L’atlantismo è un valore centrale della politica estera e di difesa italiana che il governo Draghi ha rilanciato con forza, archiviando alcuni sbandamenti di inizio legislatura.

Un rafforzamento del fianco sud potrebbe permettere alla Nato di guardare di più verso l’indo-pacifico?

Sicuramente sì, ma oggi molte delle sfide alla sicurezza sono asimmetriche, come lo stesso segretario generale Jens Stoltenberg spesso ripete. Penso ai cambiamenti climatici, ai movimenti migratori, agli attacchi cyber, al terrorismo, alla criminalità transnazionale, per citarne alcuni. Di queste sfide e della necessità di adattarvisi mi risulta che la Nato abbia dimostrato consapevolezza, nonché la capacità di farvi fronte. Sono proprio sfide di questo tipo che evidenziano, ancora di più che la minaccia militare tradizionale, che “nessuno può fare da solo”. Perché sono minacce che attraversano e bucano i confini con enorme facilità. Sono sfide di fronte alle quali si prevale solamente con una Alleanza Atlantica forte e radicata nei suoi valori fondanti.

Nei giorni scorsi il presidente Biden ha firmato un memorandum che rende la lotta alla corruzione una questione di interesse nazionale e cruciale nell’agenda politica degli stati uniti e nei suoi sforzi globali. Sarà un tema di discussione transatlantica. Che cosa può fare l’Italia?

La corruzione è un tipico fenomeno transnazionale e pone questioni serie di sicurezza, anche perché è un cancro che consente a forze poco benevolenti, per usare un eufemismo, di inserirsi nei gangli dello stato. In Italia ne abbiamo avuto purtroppo un esempio recente, per fortuna brillantemente contrastato dai nostri servizi di sicurezza. Ma, come in tutte le cose, la prevenzione è sempre lo strumento più efficace. Per questo, l’Italia è, da sempre, in prima linea, in tutti i fori multilaterali deputati, compresa l’ONU, per lavorare a efficaci strategie di collaborazione tra stati nel contrasto alla corruzione. Anche in questo caso, la strada è il multilateralismo efficace e la cooperazione internazionale, non certo la postura sovranista e isolazionista che purtroppo caratterizzava la presidenza Trump e che ha contagiato anche parti del nostro continente.

Si parla anche di maggiore integrazione a livello europeo e internazionale per il contrasto al crimine. Cosa l’Italia sta facendo per essere più partecipe ai tavoli internazionali su questo tema nei diversi settori?

Così come la corruzione, anche il crimine transnazionale è una minaccia concreta alla sicurezza e i due temi sono strettamente legati tra di loro. L’Italia, su questo tema, è da sempre protagonista nelle sedi multilaterali, basti pensare alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, adottata a Palermo nel 2000 su impulso di Giovanni Falcone. La nostra diplomazia è protagonista all’ONU su questo tema, portando avanti la convinzione che la risposta degli Stati a queste minacce può solo essere transnazionale. Ne è un esempio anche l’azione di stimolo che stiamo svolgendo, dalla Farnesina, per favorire la finalizzazione del complesso processo di ratifica del Protocollo di Seul sull’eliminazione del commercio illegale dei prodotti derivati dal tabacco, in tempo per la fine della legislatura – un tema su cui è di grande importanza, per la difesa del sistema Paese, promuovere un approccio interministeriale oltre che improntato alla collaborazione internazionale.


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