Le sfide originate da sud sono complesse e hanno un impatto diretto per la sicurezza dell’Alleanza. Questo richiede un rinnovato approfondimento dell’approccio di sicurezza cooperativa come già indicato nel Concetto strategico redatto nel 2010. È nel Mediterraneo che si deciderà il futuro delle organizzazioni internazionali. L’analisi del presidente del Comitato atlantico italiano, Fabrizio W. Luciolli, sul numero 123 di Airpress (giugno)
Il prossimo Concetto strategico della Nato “dovrà articolare un approccio adeguato, chiaro e coerente nei confronti del sud, in grado di affrontare sia le minacce tradizionali che emanano da questa regione, come il terrorismo, sia i nuovi rischi, inclusa la crescente presenza della Russia e, in misura minore, della Cina”. Tale raccomandazione, espressa nel rapporto “Nato 2030: united for a new era” redatto nel 2020 dal gruppo di esperti (tra i quali l’italiana Marta Dassù) nominati dal segretario generale Jens Stoltenberg, evidenzia la centralità della regione del Medio Oriente e del nord Africa (Mena) nell’orizzonte della Nato da qui al 2030.
I tre accessi strategici del Mediterraneo, gli stretti di Gibilterra e dei Dardanelli e il canale di Suez, connettono questa regione all’Atlantico, la espongono alle minacce provenienti dalle basi russe in Crimea e nel mar Nero e la proiettano nel mar Rosso e verso le nuove sfide dell’Indo-pacifico attraverso Suez. In tale “mare interno” confluiscono vettori e fattori d’instabilità di natura e origine diversa, statuale e non. Lo strabismo col quale, all’indomani dell’annessione illegale della Crimea, diversi Paesi Nato hanno ritenuto di poter contenere l’aggressiva postura della Federazione Russa nel Baltico e nell’Ucraina orientale non ha consentito di guardare con altrettanto impegno alla stabilità della regione mediterranea, secondo un approccio che si vorrebbe a 360 gradi.
Mosca ha, pertanto, potuto guadagnare nella regione Mena una profondità strategica che le ha permesso di stanziare imponenti assetti militari e missili da crociera Kalibr nella base navale siriana di Tartus, di siglare accordi militari con il Sudan volti a costituire una base anche nel mar Rosso e di stipulare vantaggiosi contratti per forniture di armamenti, così come di energia, con Paesi come l’Egitto e l’Algeria. Infine, mercenari del gruppo Wagner sono stabilmente presenti in Libia dove, secondo le immagini rilasciate da AfriCom, nel maggio 2020 la Federazione Russa ha dispiegato 14 velivoli da combattimento.
Meno palese e diversamente insidiosa, appare la sfida portata dalla Repubblica Popolare Cinese. Per quanto abbia costituito una base navale militare a Gibuti e condotto esercitazioni navali nel Mediterraneo, anche con la Federazione Russa, la Cina sta colonizzando la regione del Medio Oriente e l’Africa prevalentemente attraverso investimenti infrastrutturali legati alla Belt and road initiative e stipulando accordi economici volti all’accaparramento di materie prime e terre rare. Attualmente la Cina controlla il 62% di tutte le terrerare estratte, nonché il 37% delle riserve mondiali conosciute. La novità rappresentata dall’attiva presenza della Russia e della Cina nel contesto del Medio Oriente e del Nord Africa, così come avvenuto per il fianco nordorientale, richiede una “Enhanced southern presence” da parte della Nato e un approccio coordinato per la regione Mena da parte degli alleati, Grecia e Turchia in primis.
I fattori d’instabilità originati da attori statuali “esterni” alla regione vengono a sommarsi a quelli tradizionalmente endemici che vedono nella stabilizzazione e ricostruzione della Siria (impegno valutato dal Escwa delle Nazioni Unite in oltre 400 miliardi di dollari) e della Libia le sfide più imponenti che le organizzazioni internazionali sono chiamate ad affrontare in maniera sinergica e complementare. A tal fine Nato e Unione europea devono rivedere, rafforzare e coordinare i rispettivi partenariati, così come recentemente avvenuto per la Tunisia.
La Nato per la Libia è pronta a offrire la sua assistenza e cooperazione nel campo della formazione e del capacity building, compiti che l’Italia svolge anche nel quadrante iracheno, dove si accinge ad assumere un nuovo e più impegnativo ruolo di primaria responsabilità. Il contrasto al terrorismo, ai foreign fighters, alla radicalizzazione e al risorgere di Daesh e al Qaeda nel Sahel e le commistioni tra terroristi e traffici illeciti di armi ed esseri umani nella regione, rappresentano fattori d’instabilità che necessitano di essere affrontati con una nuova e più efficace strategia che, al prossimo vertice di Bruxelles, preveda un rafforzamento del ruolo del “Nato southern hub” e una più efficace inclusione delle misure di contrasto al terrorismo nei diversi aspetti della pianificazione delle attività dell’Alleanza.
Le sfide provenienti da sud sono state aggravate dalla crisi pandemica e trovano nel cambiamento climatico un moltiplicatore d’instabilità che inciderà ulteriormente sulla scarsità delle risorse idriche della regione, rischiando di generare nuove ondate migratorie, con conseguenti fenomeni di urbanizzazione in realtà già degradate e caratterizzate da una youth bulge e un tasso di fertilità che in Niger si prevede pari a sette. La complessità e l’impatto diretto per la sicurezza dell’Alleanza delle sfide originate da sud richiedono un rinnovato approfondimento dell’approccio di sicurezza cooperativa come già indicato nel Concetto strategico redatto nel 2010 a Lisbona. È, difatti, nel Mediterraneo, prima che nell’Indo-pacifico, che si deciderà il futuro delle organizzazioni internazionali.