La recente querelle sulla super Lega ha acceso i riflettori sulla dimensione geopolitica del pallone. A illuminare ulteriormente questi aspetti contribuisce il recente libro Calcio&geopolitica di Alessio Postiglione, Valerio Mancini e Narcis Pallarès
La recente querelle sulla super Lega di ha acceso i riflettori sulla dimensione geopolitica del pallone. A illuminare ulteriormente questi aspetti contribuisce il recente libro Calcio&geopolitica. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici” (Edizioni Mondo Nuovo), di Alessio Postiglione, Valerio Mancini e Narcis Pallarès.
Gli autori ripercorrono l’evoluzione del calcio, da rito collettivo della classe operaia, legato alla dimensione identitaria, lo sport degli anni ‘70, a consumo borghese individuale fruito attraverso la televisione e legato alle logiche di mercato, tipiche dell’oggi. Allorquando i fondi emiratini piuttosto investono su brand globali che hanno completamente reciso il legame fra tifoso e campanile, perché l’Inter ha più tifosi in Cina che a Milano. L’evoluzione del calcio identitario parte da un processo di commodificazione tipico del capitalismo finanziario; un processo che coincide con la crisi dello Stato nazione e l’avvento di un nuovo ordine globale.
In questa “grande trasformazione” – gli autori citano Karl Polanyi sostenendo che questo processo sia conflittuale – il calcio diventa strumento di soft power da parte di Stati e gruppi di interesse. Uno strumento geopolitico ed esso stesso un attore geopolitico globale: la Fifa ha più Stati-membri delle Nazioni Unite e il potere di assegnare un Campionato del Mondo incide sul destino di quel territorio. Quando le potenze economiche dettano le proprie condizioni agli Stati e alla politica, il calcio, essendo un grande business, domina il mondo.
Un potere transnazionale, secondo Postiglione, Pallarès e Mancini, che si proietta oltre gli stessi Stati-nazione, consumati dalla globalizzazione. In tempi in cui trovare pochi milioni per potenziare la scuola o la sanità è sempre più difficile, l’economia del calcio surclassa quella di molti Stati sovrani. Solo il calcio europeo vanta un giro d’affari di 28,4 miliardi di euro. I big five, i campionati europei principali – in ordine di grandezza: quello inglese, tedesco, spagnolo, italiano e francese -, hanno prodotto un fatturato record di € 15,6 miliardi nel 2017/18, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente.
Calcio&geopolitica ricostruisce i fondamenti sociali, antropologici di questo sport, indagando le fratture di classe e religione che ad esso si sovrappongono, il ruolo che riveste nei fenomeni di nazionalizzazione delle masse e nascita degli Stati, gli intrecci con la geopolitica e la globalizzazione.
Da Guam al Nagorno Karabakh, dall’Abcazia al Punjab, dall’Ossezia alla Groenlandia, dalla Padania al Kurdistan, la geografia del calcio si disegna a partire da gasdotti, fonti energetiche, accessi al mare.
La dimensione politica è restituita attraverso il racconto calcistico, la ricostruzione del “gol del secolo”, della “partita della morte”, delle imprese di Maradona e Pelè, dagli ultras ai diritti televisivi, dalla finanziarizzazione del calcio al ruolo di Cina, Usa, Russia, Paesi del Golfo. Attraverso una lettura multidisciplinare, che spazia dalla sociologia al giornalismo, “Calcio & geopolitica” attraversa lo spazio e il tempo per rivelare connessioni inaspettate e racconti emozionanti. Perché il calcio è molto più di un gioco.