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Vertice Nato, perché ho cantato anche io. Scrive Pennisi

Giuseppe Pennisi svela perché al termine del vertice dell’Alleanza Atlantica ha scelto, nel suo studio, di intonare una canzonetta di George M. Cohen, prolifico autore di commedie musicali, e protagonista di Broadway dagli anni Venti agli anni Quaranta del Ventesimo secolo, intitolata “Over there”

Sono, notoriamente, piuttosto stonato ma al temine del vertice dell’Alleanza Atlantica del 14 giugno, quando il 15 luglio ho letto il comunicato, ho cantato anche io. Nel mio studio, con l’aiuto di un vecchio LP.

Non ho intonato un inno, ma una canzonetta di George M. Cohen, prolifico autore di commedie musicali, e protagonista di Broadway dagli Anni Venti agli Anni Quaranta del Ventesimo Secolo: “Overthere, overthere, there are yankees everywhere, everywhere!” (“Laggiù, laggiù ci sono yankee da per tutto, da per tutto!). È una canzone leggera, allegra, gioiosa, pur se con un pizzico di melanconia per la lontana terra natia. Composta, inizialmente, per una commedia in musica a sfondo patriottico (“Anna, get your gun!”, “Anna, prendi il fucile”) diventò il “tune” più fischiettato, oltre che cantato, dai soldati americani nella Prima Guerra Mondiale; si racconta che lo stesso Hemingway la canticchiasse negli altipiani di Asiago così ben descritti in “A farewell to arms” (“Addio alle armi”). Diventò, poi, una delle canzoni più care alle truppe Usa, soprattutto quelle sul fronte europeo, negli Anni Quaranta. L’ultima inquadratura di un film biografico, in bianco e nero, su George M.Cohen, mostra Roosevelt il quale sbircia (e saluta) da una finestra della Casa Bianca, soldati che sfilano a Pennsylvania Avenue al ritmo di “Overthere, overthere, there are yankees everywhere, everywhere!”.

Perché ho cantato “Overthere”? In primo luogo, è la canzonetta più diffusa e più cantata, senza alcun imprimatur ufficiale, dai milioni di ragazzi americani che due volte nel secolo scorso varcarono l’Atlantico in missione di pace in un Vecchio Continente che aveva innescato la miccia del proprio suicidio. In secondo luogo, questi ragazzi (molti dei quali venivano dall’immenso Mid-West e non avevano mai visto il mare prima di imbarcarsi alla volta dell’Europa) erano pacificatori, come lo sono, o lo sono stati sino a tempi recenti, i nostri (e non solo i nostri) nella tormentate terre dell’Iraq, dell’Afghanistan, ed altrove. Con generosità estrema, molti di loro, per dare la pace e la libertà a noi, sarebbero rimasti sul suolo europeo, in immensi cimiteri da Anzio alla Normandia. In terzo luogo, meglio di molti concioni ufficiali, la canzone di G.M. Cohen esprime quella massima fondamentale di Voltaire, iscritta in marmo nel suo villaggio natale ai confini tra Francia e Svizzera, spesso dimenticata da noi ma metabolizzata negli Usa: l’intolleranza deve essere massima nei confronti degli intolleranti. In quarto c’è un fatto personale: a 22 anni ho potuto continuare a studiare grazie a borse di viaggio finanziate dai contribuenti americani e a borse di studio finanziate da filantropi americani; a 26 anni, sono tornato negli Usa, con mia moglie ed con 300 dollari in tasca, in due. Ci sono rimasto oltre 15 anni, compiendo un’intera carriera in Banca Mondiale. Là sono nati i nostri figli. Là ho imparato a lavorare ed ad avere la massima intolleranza nei confronti degli intolleranti. Forse, ho anche appreso un po’ di generosità.

Ho nella parete del mio studio una foto incorniciata del 1966: cinquanta studenti europei e cinquanta americani – era il primo anno di un Master alla Johns Hopkins University (Bologna Center) – in visita allo SHAPE (sede del Supremo Comando Alleato) allora a Parigi – un’esperienza fondante.

Al vertice Nato, il presidente americano Biden ha raccolto un consenso più netto rispetto a quello ottenuto dal G7. In cambio, ha decisamente allentato la presa sulla questione dei contributi: ciascun partner si è impegnato a stanziare il 2% del proprio Prodotto interno lordo per la difesa entro il 2024. Per Trump questa era la priorità numero uno, ma lo era anche per Barack.

Il confronto ha preso le mosse dall’Afghanistan. Il ritiro dei militari, deciso dagli Stati Uniti, rischia di destabilizzare il Paese. Tutti hanno concordato che sarà necessario proteggere l’aeroporto di Kabul; Il Segretario Generale della Nato, Stoltenberg ha detto che “la Turchia potrebbe avere un ruolo importante”. Importante la discussione sul “Strategic concept”. L’ultima versione, del 2010, citava la Russia come “possibile partner costruttivo”. Ora, anche se la minaccia principale resta la Russia. la novità è la Cina: “La sua crescente influenza e le sue politiche internazionali possono diventare delle sfide che noi dobbiamo fronteggiare insieme”. “Le ambizioni della Cina e il suo comportamento aggressivo costituiscono una sfida sistematica all’ordinamento internazionale. La Cina sta espandendo rapidamente il suo arsenale nucleare. Inoltre sta cooperando militarmente con la Russia, a cominciare dalle esercitazioni condotte nel quadrante Euro-atlantico”. La parola chiave, dunque, è “challenge”, sfida. In tutti i settori, compresi lo spazio e la sfera digitale. Gli europei hanno aderito alla svolta proposta da Biden. Ma delimitando il perimetro, come ha spiegato il presidente francese Emmanuel Macron: “Il rapporto con la Cina va oltre la questione militare. La Cina è una grande potenza con la quale noi lavoriamo su questioni globali, per esempio il clima”.

Gli Stati Uniti di oggi sono probabilmente più interessati all’Estremo Oriente, all’America Latina ed alla stessa Russia che ad un’Europa al cui processo d’integrazione hanno contribuito attivamente, non solo per generosità ma anche per non trovarsi ancora una volta immischiati in guerre intestine nel Vecchio Continente. E che oggi vedono ristagnare in preda a litigiosi sovranismi.

Da parte europea si sta facendo uno sforzo per la difesa comune; ci sono aree – in primo luogo la cyber security – dove la collaborazione sarebbe fruttuosa prima ancora che necessaria. Quindi, un rafforzamento non un indebolimento dell’alleanza è nell’interesse di tutti. Overthere!


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