I limiti europei alle emissioni elettromagnetiche, fissati dalla Commissione Ue, sono considerati sufficientemente cautelativi, infatti sono applicati da Germania, Francia, UK e Spagna. Ma in Italia, circa 20 anni fa sono stati fissati limiti dieci volte inferiori. Che oggi rischiano di rallentarci nella rivoluzione digitale, scrive Michelangelo Suigo, direttore Relazioni esterne, comunicazione e sostenibilità Inwit
Il mondo fisico che parla con quello digitale. L’evoluzione dell’intelligenza artificiale della robotica dell’Internet delle Cose e di tante altre tecnologie. Un processo ormai inarrestabile, conseguenza naturale di quella terza rivoluzione industriale, che aveva già dato il via all’era digitale e al processo di automazione e conseguenza programmata di un mondo che cambia e si digitalizza. È la quarta rivoluzione industriale e l’industria 4.0 ne è il frutto. Un luogo dove nasce una nuova frontiera di business, dove tutto è automatizzato e interconnesso.
Ma, anche in questo caso come nelle altre rivoluzioni, il cambiamento è radicale e spazia su molti settori. Per arrivare davvero ad un’industria 4.0 che possa guardare al futuro, andranno trasformati molti aspetti, soprattutto quelli organizzativi. Iniziando dalla forza lavoro, che deve acquisire rapidamente nuove competenze e va formata per stare al passo con i tempi e con un mondo produttivo in pieno cambiamento.
Per colmare quel mismatch digitale che ormai attanaglia specie il mondo produttivo italiano. Uno sguardo attento dovrà esserci soprattutto verso le nuove generazioni, che dovranno acquisire le competenze digitali necessarie per riuscire ad entrare rapidamente nel mondo del lavoro e colmare quel gap professionale che si andrà a creare nel passaggio repentino. Non basterà quindi un’adeguata formazione in azienda, la rivoluzione dovrà passare soprattutto per le Università e per le scuole che dovranno proporre un’offerta formativa adeguata al mondo produttivo.
Il Governo Draghi è al lavoro per aiutare la veloce concretizzazione di questa quarta rivoluzione e contribuire alla trasformazione digitale. Nell’ambito del PNRR è previsto un allineamento, soprattutto per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali, con la domanda di competenze che arriva dal tessuto produttivo del Paese. Con il nuovo Piano di Transizione 4.0, invece, si sono migliorati gli incentivi per le imprese per gli investimenti in tecnologie all’avanguardia.
La strada è ancora lunga, ma va percorsa correndo. Siamo di fronte ad un passaggio importante. Vanno abbandonati vecchi concetti per far posto ad una visione moderna della produzione con l’introduzione di macchine sempre più intelligenti e sempre più interconnesse.
Una visione che ha alla base l’elemento di connettività e che ha come motore trainante lo sviluppo del 5G in grado di dare molti benefici all’evoluzione del mondo produttivo, portando con sé una serie di importanti cambiamenti. L’affidabilità e la bassa latenza del 5G permetteranno di semplificare e monitorare interi processi e di sviluppare e implementare gli strumenti di Internet of Things con numerosi vantaggi per il mondo industriale: dalla riduzione dei costi, ad una migliore qualità di prodotti a margini di errori più bassi. Permetterà inoltre, la gestione di flussi di dati importanti, un livello di sicurezza superiore a quello delle infrastrutture di telecomunicazioni esistenti e eviterà la perdita di informazioni fondamentali.
Tutto ciò sarà possibile se, accanto alle indispensabili semplificazioni burocratiche previste nel recente decreto-legge governativo ora all’esame della Camera dei Deputati, si scioglierà finalmente un altro nodo indispensabile per evitare rallentamenti nello sviluppo del 5G in Italia: l’adeguamento dei limiti di emissione elettromagnetica a quanto previsto a livello europeo.
I limiti europei, fissati in una Raccomandazione dalla Commissione Europea sulla base degli studi dell’Icnirp, sono già considerati sufficientemente cautelativi, infatti sono applicati da Germania, Francia, UK e Spagna. Ma in Italia, circa 20 anni fa sono stati fissati dei limiti di emissione elettromagnetica dieci volte inferiori a quelli applicati negli altri Paesi dell’Unione Europea e previsti dalla Raccomandazione. È bene ribadire, come già chiarito da numerosi studi internazionali e nazionali (tra cui il “nostro” Istituto Superiore di Sanità), che il passaggio al 5G non comporta un aumento dell’esposizione elettromagnetica complessiva. Al contrario, l’architettura 5G presenta delle caratteristiche che potrebbero portare ad un impatto elettromagnetico invariato o addirittura inferiore rispetto a quello delle generazioni precedenti.
Non vi è nessuna giustificazione nel penalizzare l’Italia rispetto agli altri Paesi Ue che sono molto più competitivi sulla realizzazione della rete 5G e, conseguentemente, dei servizi connessi. L’Italia non può permettersi un auto-sabotaggio in termini di transizione digitale.
Lo sviluppo del 5G sarà quindi alla base dell’Industria 4.0 e del futuro del mondo produttivo. Un futuro dove non saranno le macchine a sostituire il lavoro degli uomini, ma saranno gli uomini che, con l’acquisizione di nuove competenze, gestiranno le macchine. Non più spettatori quindi, ma parte attiva di un nuovo processo produttivo. Ora è il turno delle aziende che dovranno riuscire a sfruttare al meglio tutte le potenzialità della tecnologia, per poter davvero vivere appieno la quarta rivoluzione industriale.