Se non si ha voglia o forza o capacità di ricostruire i partiti, almeno che non si giochi in questo modo con le primarie. Vogliamo le primarie? Almeno regoliamole per legge. La rubrica di Pino Pisicchio
Il Pd ha dunque consumato il suo rito propiziatorio – cui fa ricorso quando deve stupire il pubblico con gli effetti speciali – con le primarie di Roma e Bologna, dagli esiti già scritti. Vengono dichiarati – al netto delle solite polemiche (e chi mai andrà a verificare?) sulla contabilità ufficiale dei partecipanti – 45 mila votanti a Roma e 25.000 a Bologna. Pochi, molti, giusti per una platea che non è solo dei militanti del Pd, non è questo il punto. È l’odore di deja vu che circonfonde il rito, ad essere il punto. C’è qualcosa di nuovo nel sole, anzi di antico, salmodiava il vate mandato a forza nella nostra memoria remota, qualcosa che dichiara nostalgia di una stagione che rischia di stare nel dibattito pubblico come i revenant dei film della Hammer, in bianco e nero e con il brivido freddo buono per l’estate. La nostalgia del maggioritario, dell’epopea ulivista, delle primarie. Il mondo è cambiato negli ultimi cinque lustri e la politica italiana, di cui le primarie rappresentarono un’epifania, ancora di più.
Le primarie restano, dunque, un film americano doppiato, che trasuda gadget da fiera strapaesana e poggia la sua forza persuasiva su ingenti impegni finanziari. Che poi sono il leit motiv della politica dall’altra parte dell’Oceano, politica che non conosce i partiti così come si sono formati e manifestati in Europa e per questo deve giocarsi il governo sulla intraprendenza dei singoli attori. L’importazione nel sistema italiano, secondando il veltronismo degli anni d’oro, ha avuto una funzione mobilitativa e, secondo i promotori, rivitalizzante, di fronte alla crisi del partito politico.
E così le primarie si sono nutrite di sottoprodotti finalistici, talvolta addirittura gli unici a tenere banco nella kermesse, come in occasione della scelta di Romano Prodi a candidato alla presidenza del consiglio per il centro-sinistra. In quel caso non c’era storia: si sapeva dall’inizio che Prodi avrebbe vinto e con un grande vantaggio su tutti. Ma le primarie “di coalizione” servirono ai candidati per altri obiettivi. Quali? Innanzitutto posizionamento delle bandiere identitarie e poi per staccare un bonus utile ad ottenere le candidature al parlamento e per prenotare una partecipazione ad eventuali governi di coalizione. È chiaro, un risultato magro alle primarie non aiuta a soddisfare le ambizioni del candidato, ma la partecipazione, ancorché perdente, di per se’ è garanzia di un risarcimento politico futuro. Sottoforma almeno di seggi in parlamento, visto che ormai da tempo le liste sono bloccate ed anche i collegi uninominali vengono conquistati non per il candidato che c’è dentro, ma solo per il partito o la coalizione che lo ospita. Queste sono state le primarie italiane finora: più spesso usate per il conferimento della legittimazione plebiscitaria al vincente (Prodi in coalizione, Renzi e Letta nel partito). Quando, invece, confronto c’è stato, si è svolto solo tra due candidati mentre la partecipazione degli altri era garantita per il perseguimento di obiettivi secondari, tipo ricerca di visibilità, conta dei voti per contare nel partito, ticket per candidature alle politiche, oppure ornare con la loro presenza legittimante, l’investitura del prescelto.
Se si potesse, come in un gioco dell’oca, far ritornare tutto alla partenza propenderei con tutto il cuore per il ripristino dei partiti/partiti, quelli con dirigenti solidi che sapevano fare le scelte e con la gente che partecipava alla politica partendo dalle sezioni: quattro milioni e mezzo di iscritti su una platea di italiani votanti pari a 45 milioni. Ma i partiti sono morti, e le loro ceneri liofilizzate sono state disperse da qualche parte. Allora, però, se non si ha voglia o forza o capacità di ricostruire i partiti, almeno che non si giochi in questo modo con le primarie. Vogliamo le primarie? Almeno regoliamole per legge. La verità? La politica nazionale italiana ormai procede con virtualizzazioni successive verso l’unico obiettivo che le interessa: il voto parlamentare. Primarie, amministrative locali, europee, sono tutte porzioni di sondaggio continuo che serve a testare il gradimento del pubblico. Salvo a prendere sventoloni al primo giro elettorale vero.