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Il Tar su Report? Il giornalista non è un funzionario amministrativo. Il parere di Azzollini

Il Tar del Lazio intima a Report di consegnare i documenti usati in un servizio, assimilando il programma di Rai3 a un ministero. Per Vitalba Azzollini, giurista esperta di trasparenza amministrativa, la sentenza rischia di danneggiare la Rai e la libertà dei giornalisti

Cosa sta succedendo tra Report e il Tar del Lazio? Il tribunale amministrativo ha dato ragione all’avvocato Andrea Mascetti che contestava “notizie false e fuorvianti” contenute in un servizio dell’ottobre 2020 (“Vassalli, valvassori e valvassini”) in cui si descrivevano i suoi incarichi e le sue consulenze vari enti pubblici. Con l’intento di scoprire chi avesse parlato con i giornalisti guidati da Sigfrido Ranucci, e quali documenti si fossero scambiati, aveva fatto domanda di accesso agli atti alla Rai ai sensi della legge 241/1990, che disciplina il procedimento amministrativo. L’azienda l’ha respinta e lui si è rivolto al Tar, che in primo grado gli ha dato parzialmente ragione e ha intimato a viale Mazzini di fornire la documentazione richiesta.

Formiche.net ha contattato la giurista Vitalba Azzollini, esperta sia di trasparenza amministrativa che della “questione Rai” (ne auspica da anni la privatizzazione), per discutere del caso che ha diviso i commentatori tra chi dice che le sentenze si rispettano e chi difende il lavoro dei giornalisti (e le loro fonti).

Partiamo dalla questione “procedurale”: è giusto chiedere un accesso agli atti alla Rai come se fosse il comune che non ci concede un passo carrabile?

Nella sentenza si parla di due leggi: la 241/1990 e il Foia (Freedom of information act). La Rai è un soggetto pubblico tenuto alla trasparenza prevista da questi strumenti? La Rai è sottoposta solo alla prima delle due leggi (per la seconda ricorre un’ipotesi di esclusione, data l’emissione di strumenti finanziari quotati da parte dell’emittente radiotelevisiva), ma bisogna distinguere in base all’attività che svolge. Se parliamo di un concorso, o di un licenziamento, o di altre attività qualificabili come amministrative, la legge che disciplina l’accesso agli atti si applica senza dubbio alcuno. Ma l’attività dei giornalisti che lavorano per la Rai e fanno inchieste è assimilabile a quella di un dipendente pubblico? Non credo proprio, eppure il Tar fa questo salto logico senza andare tanto per il sottile.

Però la Rai è servizio pubblico per definizione, la finanziamo con il canone in bolletta ed è interamente controllata dal Ministero del Tesoro.

 Certo, e infatti è sottoposta a “controllo” governativo, a differenza di una società privata: gli amministratori sono decisi dalla politica, c’è una commissione di vigilanza parlamentare. Una serie di elementi (citati nella sentenza del Tar) ne determinano la natura pubblicistica, e da ciò deriva l’assimilabilità alla Pubblica Amministrazione e, quindi, l’applicabilità della disciplina dell’accesso di cui alla legge sul procedimento amministrativo. Dunque, sono accessibili gli atti e ai contratti che l’ente gestore del servizio pubblico radiotelevisivo pone in essere nell’organizzazione e nello svolgimento di tale servizio: il cittadino deve poter verificare come l’ente opera. Ma una volta che un programma televisivo di inchiesta sia stato affidato dall’ente gestore a giornalisti, la legge sul procedimento amministrativo non può applicarsi all’attività di questi ultimi. Con l’accesso previsto da tale legge non si può entrare, a fini di verifica, nell’ambito di un’attività – il giornalismo – non qualificabile come amministrativa. Questa conclusione discende anche da un principio di non discriminazione.

Ci spieghi meglio.

Questa sentenza crea una disparità tra i giornalisti della Rai e quelli delle testate private. Chi fa un’inchiesta per un programma del servizio pubblico rischia di vedere “scoperchiato” il proprio lavoro ex post, mediante richieste di accesso agli atti che ha utilizzato per predisporlo, ciò al di là della segretezza delle fonti. Ed è anche un disincentivo, perché un bravo giornalista sarebbe scoraggiato dal lavorare per la Rai, tra richieste di accesso agli atti ed eventuale scarsa tutela di dette fonti.

Ecco, parliamo delle fonti. La legge 69/1963 dispone che i giornalisti “sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”. Ma chi difende la sentenza dice che si tratta di atti “aperti”, provenienti da altre pubbliche amministrazioni, e che Report può tutelare l’identità dei soggetti coinvolti

Il problema è nella vaga e sbrigativa definizione data dal Tar ai documenti che dovranno essere consegnati al ricorrente. Che possono includere “in particolare” atti amministrativi. Ed è quella locuzione che allarga il campo anche ad altre informazioni, come ad esempio email tra giornalista e pubbliche amministrazioni. L’ampiezza dell’ambito dell’accesso consentito dal Tar, pur adottando cautele nell’ostensione, potrebbe far risalire all’identità delle fonti, danneggiando il rapporto fiduciario e inibendo altre inchieste. Se qualcuno si ritiene diffamato da un servizio giornalistico, può inviare diffide e rettifiche, ricorrere in via penale o civile, insomma ha altri strumenti per tutelarsi. Aprire il varco alla consegna dei documenti di un’attività giornalistica svolta dalla Rai può avere conseguenze di non poco conto.

Ora cosa succederà? Immagino che la Rai farà ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado.

E, a mio avviso, la otterrà, in attesa della pronuncia di merito dai giudici di Palazzo Spada. Spero che riflettano molto bene sulla questione, perché potrebbero fare un grande danno in termini di limitazione dell’attività e dei diritti dei giornalisti Rai. Che sarebbe penalizzata per il suo status, caratterizzato da una gestione mista, ovvero di un modello ibrido pubblico-privato di finanziamento (canone e pubblicità) del servizio pubblico in un’unica organizzazione societaria. Se fosse stata privatizzata, oggi non ci troveremmo in questa situazione. E finché non arriverà una svolta in questo senso, è giusto analizzare la gestione delle risorse di Viale Mazzini, verificare che un determinato programma abbia una struttura dei costi corretta, che rispetti il contratto di servizio ecc.. Ma, esercitati questi controlli doverosi, i giornalisti devono essere liberi di fare il loro lavoro.


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