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Phisikk du role – L’anno del Dragone

A destra la compagnia appare un po’ sbilenca; a sinistra, se possibile, è ancora più complicato. Del centro non se ne parla neanche perché non c’è. Ecco il quadro politico che si compone davanti agli occhi degli italiani. La rubrica di Pino Pisicchio

Nomen omen dicevano i romani, quelli antichi che se intendevano. E il nomen in questione, Draghi, ha uno scranno d’eccellenza nel pantheon dei simboli. Prendiamo il Drago nella cultura orientale. Per i cinesi è il simbolo positivo per eccellenza, incarnando yang, la fecondità virile, la potenza creatrice, la dignità del casato che, attraverso la sua progenie, ingravida il mondo. È imparentato col serpente, suo gemello in formato bonsai nella versione antico-romana, che rappresenta il genius, il protettore della famiglia. E che poteva fare un uomo di Stato con un nome così, se non recare un caos felice e creativo nella suprema beatitudine ad encefalogramma piatto delle politica italiana? Non poteva mancare di farlo e infatti non ha mancato. Sarà per il destino inciso nel nomen, sarà per la dozzinale carta velina di cui sono fatte oggi quelle cose fragili e autoreferenziali che ci ostiniamo a chiamare “partiti”, Draghi sta sconvolgendo il panorama politico, da destra a sinistra.

Del centro non se ne parla neanche perché non c’è. O perché forse è, il Draghi, esso stesso quel che per convenzione continuiamo a chiamare centro. Guardiamo nelle case della politica. A destra la compagnia appare un po’ sbilenca, e perfino paradossale, con giuramenti di fedeltà coalizionale in vista di quell’inciampo delle amministrative di cui tutti avrebbero fatto volentieri a meno, mentre tutta la gamma dei pupi del presepio viene illustrata dai coalizionandi.

Berlusconi incarna il pastore della meraviglia, con le braccia levate a lodare il Presidente del Consiglio, Salvini è l’ultimo pastorello a destra, con la faccia stralunata e un piede fuori dalla scena mentre il compagno di pastorizia si mette in ginocchio davanti alla grotta. Giorgia Meloni è proprio in un altro quadro e forse fa il tifo per i Romani. Il pastore della meraviglia e quello con un piede fuori nel tempo libero progettano di federare le greggi, ma le pecore sono molto riluttanti. Soprattutto quelle dell’ovile Forza Italia, che avevano altri progetti che non quelli di abbandonare il presepe per fuggire con pastor Salvini.

A sinistra, se possibile, è ancora più complicato. L’implosione del congegno pentastellato, che avviene in ritardo per conseguita ragione sociale più che per le picconate di Grillo, colpisce con le sue schegge Conte. Forse l’ex premier oggi sta realizzando di aver compiuto un azzardo ad accettare di fare una specie di “presidente onorario” di un “non partito” nato con un “non statuto” e, soprattutto, creatura a lui estranea. Con Beppe che sprizza da tutti i pori “ io ti ho fatto e io ti distruggo” e il giovane Casaleggio che cederebbe volentieri alla tentazione di farsi un brand antagonista, duro e puro.

Il governo Draghi, comunque ha rappresentato lo spartiacque per il M5S. Vedremo come andrà a finire, ma non sarà una passeggiata di salute per nessuno. Più complessa la comprensione di quel che passa per la testa al Pd, al di là del galleggiamento nell’oceano delle parole della political correctness divelte da ogni significato concreto. La strategia bettiniana, sottoscritta e condivisa dal nuovo segretario, dell’alleanza perinde ac cadaver con il Movimento viene ripetuta come un disco rotto, ma nelle città al voto, salvo Bologna, i destini divergono e altri alleati di peso non se ne vedono. D’altro canto i problemi dei Cinquestelle sono così grossi da lasciar aperti tutti gli esiti, compresi quelli di una o più secessioni. Con chi si farà allora l’alleanza strategica? Se il Pd è l’ultima “cosa” che può somigliare ad un partito nella scena politica italiana, allora stiamo proprio a posto. Questo è dunque il quadro che si compone davanti agli occhi degli italiani nell’anno del Dragone. In attesa che lo yang cominci a dare qualche segno anche in politica.


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