“L’italia può concorrere a ricostruire un sistema multilaterale di sicurezza nel Mediterraneo, che oggi è particolarmente urgente”, spiega il presidente della commissione Esteri della Camera. “Con gli Usa fortissima alleanza”. Il voto in Libia? “Mantenere la data”
In conferenza stampa con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha parlato di un “allineamento di valori” tra Italia e Stati Uniti “per i diritti umani e la democrazia”.
Piero Fassino, esponente di punta del Partito democratico e presidente della commissione Affari esteri della Camera, Germania e Francia si avvicinano alle urne. Da una parte la fine dell’era di Angela Merkel, dall’altra le difficoltà di Emmanuel Macron. È l’occasione per l’Italia di essere il partner più importante degli Stati Uniti di Joe Biden in Europa?
Tra i due Paesi c’è storicamente un rapporto di fortissima alleanza, grazie al ruolo che l’Italia ha sempre svolto nel Mediterraneo e nel fianco Sud della Nato, al fatto che gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato per le nostre esportazioni e, anche se a volte lo dimentichiamo essendo passato molto tempo, alle migrazioni di milioni di italiani che hanno contribuito allo sviluppo americano.
Come capitalizzare questi tre elementi oggi?
Questo rapporto così intenso consente all’Italia di disporre di uno spazio d’azione importante nel Mediterraneo, dalla Libia alla questione israelopalestinese fino alla stabilizzazione dell’Iraq. Ma soprattutto per concorrere a ricostruire un sistema multilaterale di sicurezza nel Mediterraneo, questione oggi particolarmente urgente. Infatti, al di là delle ragioni specifiche di ogni crisi, è fondamentale ricostruire un sistema di governance del grande Mediterraneo che dallo stretto di Hormuz allo stretto di Gibilterra è investito da una sequenza di guerre, conflitti e instabilità.
Parlando di Medio Oriente, il ministro Di Maio ha annunciato un viaggio assieme all’omologa spagnola, Arancha Gozalez Laya, in Israele e nei Territori palestinesi per fine luglio. Italia e Spagna possono lavorare assieme?
Italia e Spagna hanno interessi comuni e sono i primi ad essere investiti da ciò che accade nel Mediterraneo. Entrambi sono interessati a che l’Unione europea si doti di una politica sull’immigrazione diversa da quella fin qui seguita. Entrambi sono interessati a favorire la stabilità dei paesi del NordAfrica. Entrambi hanno sempre rivolto grande attenzione alla situazione mediorientale: è sufficiente ricordare che per molti anni il rappresentante europeo per il processo di pace è stato l’ex ministro spagnolo Miguel Ángel Moratinos. Contingenti spagnoli hanno partecipato in questi anni in Libano alla missione Unifil a guida italiana. L’Italia, da parte sua, ha sempre mantenuto ottimi rapporti sia con Stato d’Israele sia con l’Autorità palestinese. Sono elementi che rappresentano le basi per una stretta cooperazione sia tra governi, sia tra Parlamenti. Proprio in questi mesi abbiamo avviato una cooperazione strutturata tra le commissioni Esteri per accompagnare la cooperazione tra i due governi.
Uno dei temi di politica estera che sembrano stare più a cuore agli Stati Uniti è l’Iran, in particolare il dossier nucleare. Rimasta fuori dalle trattative ormai oltre un decennio fa, l’Italia può recuperare un ruolo? Si può ipotizzare un allargamento del formato E3 sull’Iran che vede coinvolti Francia, Germania e Regno Unito?
Intanto il formato si è già allargato a 5+1 includendo l’Unione Europea. Con l’Iran il sistema economico italiano – sia in termini di investimenti sia di relazioni commerciali – ha sempre avuto rapporti molto intensi, fin dai temi dell’Eni di Enrico Mattei. E credo che questo ruolo possa essere politicamente utile, purché giocato insieme agli altri Paesi dell’Unione europea. L’abbiamo visto in Libia: fino a quando Italia, Francia e Germania non si sono allineati con la visita dei ministri degli Esteri a Tripoli e la conferenza di Berlino, la capacità d’iniziativa dell’Unione europea era molto scarsa; poi le cose in Libia sono cambiate. Lo stesso vale per l’Iran: l’Italia può concorrere a rafforzare capacità dell’Unione europea di avere un ruolo decisivo insieme agli Stati Uniti e agli altri protagonisti dell’accordo Jcpoa sul nucleare.
A proposito di Libia. In queste ultime settimane appaiono sempre più forti e frequenti i richiami occidentali a rispettare la data delle elezioni a fine anno. Ne hanno discusso anche il segretario Blinken e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il loro incontro al Quirinale, stando a quanto dichiarato dalla diplomazia statunitense. Quali i rischi se ciò non accadesse?
Mantenere la data e premere affinché sia rispettata è necessario per garantire che il cammino della transizione e riforme costituzionali ed economiche non subisca rallentamenti. Annunciare oggi un rinvio del voto significherebbe non soltanto ritardare le tappe della transizione, ma anche esporre quest’ultima a molti rischi. Per questo è necessaria questa sollecitazione a rispettare il calendario concordato nella Conferenza di Berlino.
L’ultima domanda riguarda il confronto con la Cina, tema che negli ultimi mesi ha occupato molto tempo nei lavori della commissione Esteri della Camera. Basti pensare alla recente risoluzione unanime di condanna della persecuzione degli uiguri da parte di Pechino con tanto di richiesta al nostro governo di agire, anche a livello europeo. L’Italia è pronto a un summit delle democrazie guidato dagli Stati Uniti?
Il presidente statunitense Joe Biden ha posto il tema della tutela dei diritti umani come una priorità dell’agenda internazionale e ha ragione: la globalizzazione non può riguardare solo gli scambi e le monete, deve riguardare anche i diritti. Il che non significa non interloquire con la Cina o con la Russia, ma deve essere un “dialogo critico” che individuando terreni di collaborazione li accompagna con una ferma richiesta di rispettare i diritti umani. Quanto al summit delle democrazie è una proposta che va concretizzata definendo con chiarezza chi intende coinvolgere e con quali obiettivi.