“Solo l’intervento del presidente Draghi, direttamente con il principe bin Zayed, può essere risolutivo”. Ne è convinto Matteo Perego di Cremnago, deputato per Forza Italia, che a Formiche.net spiega “l’errore” dello stop di gennaio all’export militare verso gli Emirati, che ora hanno intimato al nostro Paese di lasciare la base di Al Minhad. “L’Italia deve rispondere a un quesito: qual è il nostro ruolo nel Mediterraneo e nel mondo?”
Mancano due giorni allo scadere dell’ultimatum che gli Emirati Arabi Uniti hanno dato all’Italia per lasciare la Forward Logistic Airbase di Al Minhad, utilizzata dalle nostre Forze armate dal 2015 per pressoché tutti gli impegni nell’area. Ultimatum arrivato sulla scia dell’insofferenza di Abu Dhabi per la mossa con cui, lo scorso gennaio, l’Italia ha revocato le licenze all’export (già autorizzate) di bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi per contribuire a fermare il conflitto in Yemen. Ora lo strappo sembra completo. Per capire come ricucirlo, abbiamo parlato con l’onorevole Matteo Perego di Cremnago, deputato di Forza Italia e membro della Commissione Difesa della Camera, tra i primi a lanciare l’allarme anche sulla stampa internazionale.
Onorevole, mancano pochissimi giorni allo scadere dell’ultimatum degli Emirati all’Italia di lasciare la base di Al Manhad. Come evitarlo?
I preparativi per lasciare la base venerdì 2 luglio sono in corso. Credo che sia molto tardi e che solo l’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi, direttamente con il principe Mohammed bin Zayed possa essere risolutivo.
Un appello diretto al premier…
La questione è stata affrontata con tanta miopia e superficialità dal ministro degli Affari Esteri che non possiamo pensare che gli stessi che hanno creato il problema lo possano risolvere. Perdoni la battuta, ma se chiamasse Di Maio, nessuno risponderebbe
Alla base della questione c’è il blocco alle licenze già approvate per la vendita di armamenti. Fu un errore?
Fu un errore non considerare come queste scelte abbiano ricadute in primis geopolitiche e commerciali. Quelle scelte hanno compromesso una rapporto ventennale con gli Emirati e con l’Arabia Saudita oltre agli attriti noti con l’Egitto. Le nostre industrie della Difesa, già pesantemente colpite dal Covid-19 e alla prese con una competizione agguerrita sulla scena internazionale, si trovano ad avere una parte del governo contro, quando invece il sistema-Paese dovrebbe guidare ogni nostra scelta di politica estera mettendo davanti a tutto l’interesse nazionale. Purtroppo, per alcuni, l’interessa nazionale resta un concetto sconosciuto.
Ritiene che l’approccio all’export della Difesa italiano debba cambiare? Come?
L’Italia deve rispondere a un quesito: qual è il nostro ruolo nel Mediterraneo (e nel mondo)? Vogliamo essere una grande Paese del G7 o un attore regionale medio-piccolo? Vogliamo avere un’industria della Difesa leader in alcuni settori e all’altezza delle sfide di mercato? Vogliamo una reputazione solida con i nostri alleati occidentali e non solo? A questi quesiti una classe dirigente impreparata e ideologizzata non può dare risposta, lasciando il Paese in balia degli eventi, sfrattati da un importante monarchia del Golfo. In qualsiasi altro Paese un evento del genere avrebbe portato alle dimissioni di un ministro. Da noi sono derubricate a gaffe.
Michele Nones ha proposto sulle nostre colonne la re-istituzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), così da riportare il tema alla collegialità del governo. Che ne pensa?
Possiamo fare tutti gli organi che vogliamo. Io attraverso queste pagine avevo lanciato la mia proposta di legge per istituire il dipartimento della Pubblica sicurezza, sul modello del National security advisor (Nsa) americano, garantendo che le scelte di indirizzo geopolitico e strategico potessero ricadere nella presidenza del Consiglio. Bene anche il Cisd, piuttosto che il Gliced (il Gruppo di lavoro interministeriale per il coordinamento per l’esportazione di materiali per la Difesa), ma tutto è superfluo se non c’è la volontà politica di poter determinare certe scelte ed indirizzi. Penso in questi giorni ai nostri competitor che si sfregano le mani per il nostro masochismo. Penso a che Paese potremmo essere e non siamo. Ma c’è tempo, fino al 2 luglio, per cambiare rotta.