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L’Italia dalla parte della pace in Afghanistan. Scrive Garavini

Di Laura Garavini

È il momento di aprire un nuovo capitolo, confermando il nostro impegno a perseguire la pace e promuovere la sicurezza interna ed internazionale. L’intervento di Laura Garavini, vicepresidente della Commissione Affari Esteri del Senato

Scende la bandiera. Si spengono le luci. La nostra missione in Afghanistan fa ritorno in Italia. Dopo vent’anni di impegno sul posto. Due decenni durante i quali le nostre donne e uomini hanno costruito ponti e strade. Hanno avviato corsi di formazione per quelle ragazze afgane che erano state estromesse dalle scuole dal regime talebano. E soprattutto hanno salvato vite umane. Anche a scapito della propria. Come accaduto a 53 nostri soldati, che oggi non possono riabbracciare i propri cari.

Siamo orgogliosi e riconoscenti ai nostri militari, perché con coraggio e dedizione hanno lavorato in un luogo estremamente pericoloso. Per riportare vita e democrazia là dove i talebani chiudevano perfino i cinema, in un fanatismo ideologico basato su violenza e soprusi. Proprio perché il sacrificio di chi ha partecipato alla missione italiana non sia vano, bisogna continuare l’impegno a favore della stabilizzazione di quel territorio.

Anche adesso. Anche a distanza. Perché mentre le nostre truppe se ne vanno, ciò che resta non è un territorio pacificato. I talebani si sono rafforzati. Sia dal ritiro dei contingenti internazionali. Sia dall’accordo sottoscritto con Trump, che ha di fatto estromesso e delegittimato il governo ufficiale. Facendolo apparire ancora più debole, e facile preda delle instabilità locali. L’intesa bilaterale tra talebani e Washington, firmata a Doha nel febbraio 2020, ha messo fine al conflitto tra gli americani e la guerriglia in turbante nero. Ma non a quello tra talebani e forze governative. È dunque comprensibile la preoccupazione di tanti in Afghanistan. Che temono il ripristino di un regime oscurantista e di ritorsioni vendicative.
Rispettiamo la scelta intrapresa di ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan perché siamo consapevoli che viene esercitata nel solco di quell’alleanza atlantica che il nostro Paese sta recuperando con l’attuale governo, dopo una passata fase di ambiguità nei rapporti di politica estera.

Lo stesso non possiamo che rilevare i pericoli che si insinuano dietro questa decisione. Temiamo che sia prematura e che possa dare il via ad una nuova ondata di odio nel Paese. Ecco perché è necessario che la nostra partenza non segni la fine del nostro appoggio al popolo afgano.

Conforta il fatto che la Nato abbia confermato la continuità del proprio sostegno finanziario alle forze di sicurezza e di difesa nazionali afgane. Così come il mantenimento di rapporti diplomatici attraverso l’ufficio di un alto rappresentante civile a Kabul. E finanziamenti ad hoc per il funzionamento dell’aeroporto internazionale di Hamid Karzai.

Ma è importante che, al pari della Nato, anche i singoli attori internazionali non lascino solo il popolo afgano. Tantomeno noi, che per venti anni abbiamo profuso impegno a favore del progresso locale, inviando complessivamente oltre cinquantamila soldati, che hanno dedicato parte della loro vita alla stabilizzazione del Paese.

È il momento di aprire un nuovo capitolo, confermando il nostro impegno a perseguire la pace e promuovere la sicurezza interna ed internazionale. Per salvaguardare le conquiste faticosamente raggiunte grazie alla nostra missione. Ed evitare che l’Afghanistan diventi un serbatoio di possibili futuri attacchi terroristici.

Gli afgani, e soprattutto le afgane, non se lo meritano. E neanche le donne e uomini delle nostre Forze Armate, che in questi anni tanto impegno e dedizione hanno profuso, per la stabilizzazione dell’Afghanistan.



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