Qual è la visione del Movimento oggi, fuori dal comandamento: sii inamovibile al governo? Riposto l’apriscatole e i tonni a lunga conservazione, bisogna capire quale sia la nuova narrazione, se una replica minore del Pd tutto governo e political correctness, o l’urlo di Tarzan nelle foreste metropolitane, o, ancora, un’interpretazione originale dell’antropologia lib-lab, centro-riformista. Questo è il punto. La rubrica di Pino Pisicchio
Sgombriamo subito il campo da un equivoco, quello di possibili letali ripercussioni sul governo causati dalla scissione (o dell’implosione) del Movimento, dopo l’incomponibile frattura tra Conte e Grillo.
È vero: non tutto di questa vivace e asimmetrica Terza Repubblica si riesce ad interpretare, salvo, però, il rafforzamento dell’istinto di autoconservazione: se adesso cascasse Draghi la legislatura entrerebbe nel tunnel della morte – sarebbe assai difficile inventarsi una nuova soluzione – ed è l’unica cosa che il ceto parlamentare, quale che possa essere la parrocchia di appartenenza, non vuole.
L’ipotesi ferale è maggiormente avversata dagli appartenenti alla grande mamma del Movimento Cinque Stelle, del cui domani sembra ravvisarsi un’incertezza ancora più fosca che per colleghi di altre parrocchie. Dunque riponiamo le letture di alta politologia e restiamo terra terra: la vicenda del conflitto Grillo-Conte, gronda di intenzionalità da tutti i pori. Specie da quelli della pelle dell’avvocato foggiano che, a ben vedere, altro non avrebbe potuto fare, se seguiamo la sequenza degli accadimenti.
Dopo l’uscita dal governo, galvanizzato da sondaggi acclamanti, Conte è tentato dall’impresa della costruzione di una “cosa” tutta sua, ma l’invito di Grillo e dei maggiorenti, sostenuto dal giornale di partito e dal suo travagliato guru, non può essere rifiutato senza inciampare nell’incolpazione d’ingratitudine e poi può pure essere che con una cosa bell’e confezionata si faccia meno fatica, visto che porta in dotazione (ancorché acciaccata) la maggioranza dei parlamentari italiani. Il punto è che il Movimento apparve subito anche a Conte come cosa magmatica e proteiforme, dal popolo di riferimento assai sfuggente e, tutto sommato, la cui vera anima alla fine era riducibile alla platea dei parlamentari.
Di più: seppure in caduta libera, questa creatura era fatta sul calco del suo creatore, che era Beppe Grillo, un unicum nel panorama italiano, certamente non traducibile nelle pandette del diritto privato e societario. Dunque a un certo punto la rottura, forse preterintenzionale e forse no, è apparsa a Conte come una liberazione dal destino di institore della ditta grillina, senza apparire, però, come l’ingrato. Che cosa accadrà adesso? Forse la crisi di un soggetto politico che raccolse nel 2018 il 33% dei voti e dei seggi sulla spinta di un antagonismo crudo e astioso e che poi, dalla posizione contestativa, è passato al ruolo di governo, era inevitabile. Non è facile, forse, continuare a coltivare un consenso così se non sei un partito-partito come lo furono la Dc e il Pci, roba da Prima Repubblica, se non riesci a raccontare una visione dell’Italia in cui il tuo elettore riesca a rispecchiarsi. Qual è la visione del Movimento oggi, fuori dal comandamento: sii inamovibile al governo? Riposto l’apriscatole e i tonni a lunga conservazione, bisogna capire quale sia la nuova narrazione, se una replica minore del Pd tutto governo e political correctness, o l’urlo di Tarzan nelle foreste metropolitane, o, ancora, un’interpretazione originale dell’antropologia lib-lab, centro-riformista. Questo è il punto.
Abbiamo scritto più sopra che oggi il M5S è soprattutto i suoi parlamentari e, fino a che continuerà la legislatura, questo resterà la sua risorsa. Ma, attenzione: se la missione ontologica del parlamentare è quella di tornare in Parlamento, i missionari pentastellati oggi si trovano a vivere una profonda crisi mistica. Intanto stanno condividendo con molti colleghi le nequizie di un provvedimento ideologico, quello del taglio dei parlamentari, che predispone le condizioni di una vera e propria rimozione di massa del nuovo ceto politico. Infatti non solo ci sarà la riduzione di più di un terzo dei parlamentari, ma saliranno vertiginosamente le soglie di sbarramento reali per ottenere una rappresentanza: quello che formalmente viene dichiarato 5%, per effetto di molti fattori (numero più piccolo degli eletti nelle circoscrizioni, minore grandezza dei collegi, ecc.) legati alla riduzione della rappresentanza, può salire al sette/otto per cento. E a tremare a questo punto non sono soltanto le molte liste che oggi sotto a quella soglia, ma anche quelle che potrebbero precipitarvi, soprattutto dopo una scissione.
Poi per i pentastellati c’è il doloroso capitolo del limite di due mandati, che sarà una buona chiave per interpretare la ragione di alcune scelte dei parlamentari tra le due opzioni che si profilano all’orizzonte (ma non escluderei anche la terza opzione, Casaleggio/Di Battista). Nella storia del Parlamento italiano l’unico precedente è quello del Pci: eccezion fatta che per i capi, tutti gli altri due legislature e via. Le ragioni erano di welfare: all’epoca già dopo due legislature scattava un decente vitalizio che consentiva ai funzionari di partito di campare senza essere mantenuti dall’apparato. Oggi, com’è noto, non va più così e il limite ha altre motivazioni: il turnover dell’uno-vale-uno (sottinteso: nessuno è valutabile per le sue personali qualità) e il sistema elettorale a lista bloccata, che mette nelle mani del capo e non del popolo i destini di un intero Parlamento. Come finirà? Non è poi così improbabile che quest’ingombro, ormai per tutti gli attori del M5S, del limite dei mandati venga sospeso o rimosso del tutto. Scommettiamo?