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Da Damasco a Palermo. Cosa vuole la Cina nel Mediterraneo

Di Valeria Garbui

Quali sono le mire della Cina nel Mediterraneo? Quali i punti forti e quelli deboli della strategia di Xi Jinping? E la Via della Seta a che punto sta? Una road map nel dibattito della TOChina Summer School presieduto dal professor Enrico Fardella (Peking University)

Le relazioni tra Cina e Mediterraneo allargato stanno acquistando sempre più rilevanza nell’ambito delle relazioni internazionali, da un punto di vista economico, ma anche politico e diplomatico. A questo proposito, durante il dibattito “The Mediterranean looks at China: challenges and opportunities of China’s growing role in the region”, organizzato dalla TOChina Summer School e dal progetto ChinaMed presieduto da Enrico Fardella, professore della Peking University e project advisor del progetto ChinaMed, oltre allo stato attuale della relazioni tra la Cina e i paesi della regione, sono stati anche discussi il ruolo cinese come modello normativo, l’impatto di eventuali cambiamenti istituzionali sui progetti attivi e come viene percepita la presenza cinese nel Mediterraneo allargato.

Sono intervenuti Lina Benabdallah, Assistant Professor in Politica e Affari Internazionali presso la Wake Forest University (USA), Alessandro Arduino, co-direttore del progetto “Security and Crisis Management” della Shanghai Academy of Social Sciences, Anastas Vangeli, Fellow Researcher presso il progetto ChinaMed e Assistant Professor alla University of Ljubljana, e Andrea Ghiselli, direttore della ricerca del progetto ChinaMed e Assistant Professor alla Fudan University.

Arduino sottolinea che l’impegno cinese nella regione non è recente. Infatti era già attiva nelle lotte di liberazione nazionale in Algeria, Oman e Palestina. Tuttavia, la recente visita del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi (marzo 2021) in Arabia Saudita, Turchia e Iran segnerebbe “la nuova direzione della politica estera cinese in Medio Oriente”.

Ad esempio, l’incontro Wang e il principe saudita Mohammed bin Salman si è incentrato sulla cooperazione medica, oltre che allo sviluppo dell’accordo di partenariato strategico comprensivo con i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Inoltre, il focus di entrambi i paesi sulla trasformazione energetica e digitale (si veda, ad esempio il progetto NEOM in Arabia Saudita e Dubai Smart) mostrerebbe che le visioni di Riad e Pechino per il 2030 coincidono. Forse, suggerisce Arduino, l’avvicinamento di Cina e Arabia Saudita è dovuto anche alla posizione fredda di Joe Biden nei confronti di Riad.

Arduino continua affermando che i paesi della regione sanno che la Cina è al momento il loro miglior partner economico, ma non dà garanzie per quanto riguarda la sicurezza. Anche per questo, l’esperto crede che gli Stati Uniti, invece di ritirarsi completamente dalla regione, opteranno per una posizione di “offshore security hub”.

Ad ogni modo, il vuoto di potere che verrà a crearsi da una parte esacerberà le rivalità del triangolo Arabia Saudita-Israele-Iran, mentre, dall’altra, potrebbe spingere la Cina a cambiare il proprio approccio, adottando misure atte ad instaurare un’influenza più politica e selettiva. Inoltre, Arduino teme che le preoccupazioni statunitensi per le questione legate alla sicurezza e una maggiore cooperazione tecnologica tra Cina e paesi del Mediterraneo allargato creerà una biforcazione delle alleanze, soprattutto per quanto riguarda temi caldi come 5G e fibra ottica.

Diversamente, Ghiselli suggerisce che la Cina non cercherà di aumentare il proprio impegno politico o militare nella regione poiché “è più interessata a proteggere i propri interessi che quelli di altri”. Le élite, gli studiosi e gli osservatori militari cinesi, infatti, sarebbero preoccupati del costo politico e diplomatico che l’invio di truppe, o un’eventuale aggressione, nella regione potrebbe avere. Questo zelo diplomatico, sottolinea Ghiselli, potrebbe addirittura arrivare ad oscurare l’interesse della Cina a proteggere i propri cittadini e aziende all’estero, il che rende la questione ancora più pressante con il peggiorare della crisi tra Pechino e Washington.

Tuttavia, aggiunge il ricercatore, gli sforzi cinesi per modificare le norme del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo agli interventi militari potrebbero indicare una revisione della politica di non interferenza della Cina.

Anastas Vangeli sposta la discussione sui Balcani, dove la Cina è attiva principalmente a livello economico e con progetti infrastrutturali. Vangeli spiega che, nonostante gli investimenti cinesi e le iniziative di cooperazione, come la “17+1” e la Nuova via della seta, soddisfino i bisogni economici della regione (che includono ex-Stati comunisti e i membri più poveri dell’Unione Europea), la partnership con la Cina viene percepita come “un mezzo per raggiungere lo sviluppo necessario ad entrare nell’Unione”.

Oltre a ciò, il timore di contrarre pesanti debiti con la Cina, le divisioni politiche interne e le pressioni di Europa e Stati Uniti potrebbero portare a un raffreddamento dei rapporti. Vangeli sottolinea che Pechino è consapevole che l’ascesa di governi più filo-occidentali, come è successo in Macedonia, potrebbe avere un grande impatto, negativo, sui propri investimenti. Per questo, la Cina cerca di instaurare dei rapporti costruttivi a livello di partito, non di governo, anche con le opposizioni.

Anche la pandemia di Covid-19 ha contribuito a complicare le cose. Infatti, Vangeli fa presente che, ad eccezione della Serbia, di cui la Cina è stata il partner principale durante l’emergenza, i paesi balcanici si erano affidati inizialmente all’Unione per contrastare il virus. Tuttavia, i problemi logistici legati prima alla distribuzione di sistemi preventivi e poi alla campagna di vaccinazione hanno spinto molti governi a richiedere invece l’assistenza cinese.

Basando la propria ricerca sul ruolo delle relazioni interpersonali nei rapporti tra Cina e Africa, Benabdallah offre un’ulteriore prospettiva. La studiosa, infatti, spiega che la maggior parte delle informazioni che i paesi africani dispongono sulla Cina viene filtrato tramite i media europei. Per contrastare ciò, Pechino ha sviluppato un ampio programma di scambi e visite diplomatiche, borse di studio e attività culturali, per dare la possibilità alle controparti di conoscere e sperimentare direttamente il punto di vista cinese.

Secondo Benabdallah, queste attività permettono alle élite delle due parti di incontrarsi e creare un network di capitale sociale. Allo stesso modo, la studiosa considera questo network “un’ottima occasione per gli africani per acquisire ‘knowledge-transfer’ e ‘capacity-building'”, che, generalmente, “non ricevono dall’Occidente”.

Inoltre, Benabdallah sostiene che, soprattutto tramite gli scambi tra partiti, le realtà che mostrano più somiglianze con il Partito comunista cinese per quanto riguarda le relazioni fra governo, società civile e media, come l’Algeria, sarebbero più propense ad adottare il modello cinese in questioni come il “giornalismo costruttivo”, che eviterebbe di criticare apertamente il governo.

In generale, tutti gli speaker concordano sul fatto che i paesi del Mediterraneo allargato adotti due posizioni ambivalenti riguardo alla presenza cinese nella regione. Benabdallah e Vangeli affermano che sia i paesi africani che balcanici vedano positivamente gli investimenti cinesi, ma mostrano scetticismo per quanto riguarda i debiti contratti con Pechino.

Secondo Benabdallah, il Nord Africa mostrerebbe più scontento nei confronti della Cina, probabilmente per questioni di differenze linguistiche e culturali. Vangeli sostiene che ci sia uno iato tra l’impegno di Pechino e la sua comprensione della regione.

Arduino e Ghiselli mettono in risalto un altro fenomeno, visibile in misura maggiore in Turchia e in Iran, per il quale i governi di tali paesi sono fortemente filo-cinesi, mentre l’opinione pubblica sembra più critica nei confronti della Cina in temi come la questione uigura e la campagna vaccinale.

Inoltre, Ghiselli sottolinea che, per paesi come Iran e Siria, la collaborazione della Cina, in quanto potenza non occidentale, li renderebbe meno isolati nel contesto globale, mentre crescono le tensioni tra le compagnie cinesi e le popolazioni locali, come ad esempio in Grecia.

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