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Obiettivo net-zero: appunti di viaggio

Di Marco Alberti

Rispetto al passato, oggi l’influenza globale passa anche da rivoluzioni “trasversali”, come quella digitale e quella energetica, divenute ormai inseparabili poiché essenziali per contrastare la crisi climatica. La derivata geopolitica di questo scenario è che l’ambiente può essere terreno di collaborazione o, viceversa, di contrapposizione. Ciò dipenderà, in buona misura, dalle scelte degli attori in campo, dalle rispettive convenienze, anche economiche, ma soprattutto da come ciascuno deciderà di interpretare il dialogo con gli altri. L’analisi di Marco Alberti, head of International Institutional Affairs Officer di Enel

Il contrasto alla crisi climatica, principale sfida globale del XXI secolo, sta diventando criterio prioritario di elaborazione delle politiche nazionali ed internazionali; un asse strategico per ridare slancio alle alleanze (soprattutto multilaterali), promuovere una crescita più sostenibile e perseguire un riequilibrio della potenza. In gioco c’è il futuro dell’umanità, ma, insieme a questo, anche la leadership in un settore altamente strategico, nel quale convergono risorse economiche e tecnologie estremamente avanzate, capaci di definire modelli di sviluppo diversi dal passato, nuovi margini competitivi tra Nazioni ed un generale riequilibrio geopolitico.

A queste considerazioni se ne aggiungono altre due. La prima afferisce al nesso crisi climatica-sicurezza. Un pianeta malato rappresenta un rischio finanziario, acuisce la gravità dei fenomeni migratori e impatta in maniera profonda sulla salute delle persone, specialmente nelle aree più povere del pianeta. Gli investitori lo sanno bene e, per questo, scommettono ormai su progetti, e soprattutto su aziende, ad elevato indice di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Anche per la Nato, i temi ambientali, e le possibili ricadute sulla sicurezza, sono diventati temi di crescente rilevanza; secondo l’Organizzazione, l’ambiente merita un posto centrale nel dialogo transatlantico, poiché la crisi climatica rappresenta un evidente fattore di instabilità.

La seconda considerazione riguarda l’evoluzione del modello economico alla quale assistiamo; non c’è crescita senza attenzione e rispetto per gli obiettivi ambientali, e non è più pensabile slegare il rilancio economico post-pandemia dalla sostenibilità ambientale, economica e sociale delle varie strategie, politiche e industriali. In altre parole, la ripresa economica va attuata presto ma senza pregiudizio per gli impegni di decarbonizzazione assunti da governi e imprese in base all’Agenda 2030 Sviluppo e Sostenibilità, cioè utilizzando i cospicui fondi a disposizione per accelerare il cambiamento avviato dalla transizione energetica in atto e dalla green economy.

Da una parte, tutti concordano sull’opportunità di adottare modelli più sostenibili; dall’altra, l’ambizione climatica richiede obiettivi condivisi, molta collaborazione e adeguate risorse per convertire gli impegni in progetti, sviluppare nuove filiere industriali e limitare gli impatti destabilizzanti della trasformazione. Quest’ultima è accelerata dalla crescita delle energie rinnovabili e dalla digitalizzazione delle reti elettriche.

Secondo la Iea, già nel 2021 le fonti rinnovabili saranno la singola voce di investimento più consistente nel settore energetico, con 367 miliardi di dollari, cioè il 70% del totale investito in nuova capacità di generazione elettrica. E si stima che al 2050 due terzi dell’energia globale, e quasi il 90% di quella elettrica, dovranno essere prodotta da fonti rinnovabili, specialmente da solare ed eolico.

Per farlo, la capacità del fotovoltaico dovrà aumentare di 20 volte nei prossimi trent’anni e quella dell’eolico di 11 volte. Ciò spiega anche il ruolo sempre più centrale delle reti di distribuzione elettrica all’interno dei sistemi energetici e l’esigenza di investire in tecnologia e innovazione digitale da applicare a queste infrastrutture strategiche. Questa evoluzione avrà impatti di rilievo anche sulla geopolitica dell’energia: rinnovabili e reti elettriche, infatti, si prestano meno delle fonti tradizionali alla politica di potenza degli Stati, e sono invece più funzionali alla creazione di valore condiviso, determinando una redistribuzione del potere globale fra i vari attori.

Da questo punto di vista, l’Europa può affermare una riconosciuta autorevolezza e una leadership globale, rafforzare la propria autonomia strategica, riattivare il dialogo multilaterale e creare valore differenziale per la propria industria. Per l’Italia, lo scenario è favorevole. L’evoluzione in senso sostenibile del modello di sviluppo, infatti, può accrescere la competitività e l’attrattività del nostro ecosistema.

Già oggi, il 39% dell’energia elettrica generata nel Paese proviene da fonti rinnovabili (cfr. Gse Rapporto Statistico 2019 – Energie rinnovabili); siamo un top performer europeo nell’economia circolare e possiamo vantare alcuni punti di eccellenza fondamentali.

Fra questi, ad esempio, Pmi dinamiche e filiere competitive in settori chiave della green economy, il sistema di distribuzione elettrica più digitalizzato al mondo, la prima utility europea, Enel, che al tempo stesso rappresenta anche il principale operatore privato globale per capacità rinnovabile installata, numero di utenti finali raggiunti dalle reti di distribuzione e base clienti per la vendita di power e gas (“Smart meter, il consumo è sempre più intelligente” Enel.com).

Il Gruppo ha già raggiunto nel 2020 una produzione a zero emissioni del 65% della produzione totale, e il suo obiettivo resta la completa decarbonizzazione del mix al 2050. Al 2030, la Società prevede di investire nel complesso 190 miliardi di euro, triplicando la sua capacità rinnovabile installata e portando il numero di utenti finali a oltre 90 milioni nel mondo, digitalizzati al 100%.

Un campione nazionale che contribuisce al posizionamento internazionale dell’Italia in questi settori-chiave, e che – in questi mesi – sta dando il proprio contributo affinché la presidenza italiana del G20 e la co-presidenza della Cop26 lascino un segno irreversibile nel cammino globale vero la piena decarbonizzazione.

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