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Voto Senato, a che pro? I dubbi di Frosini sulle micro riforme

Di Tommaso Edoardo Frosini

Siamo passati dall’idea di una grande riforma (non solo di craxiana memoria) alla realizzazione di micro riforme. Prima con la riduzione del numero dei parlamentari, adesso con la riduzione anagrafica dell’elettorato attivo del Senato; domani con la riforma dei regolamenti parlamentari sul divieto di cambiare gruppo. È un cambio di rotta tutt’altro che apprezzabile. L’intervento del costituzionalista Tommaso Edoardo Frosini, ordinario all’Università Suor Orsola Benincasa

Il bicameralismo diventa sempre più paritario. Con la riforma costituzionale dell’art. 58, è stato abbassato l’elettorato attivo al Senato, prevedendo cioè che saranno elettori coloro i quali avranno compiuto 18 anni e non più soltanto quelli che ne hanno 25. Come avviene per le elezioni alla Camera dei deputati. Con un’unica differenza non da poco, che ha il sapore della beffa: e cioè, che l’elettorato passivo al Senato rimane riservato soltanto a coloro i quali hanno almeno 40 anni di età. Eppure sarebbe bastato poco: e cioè anziché limitarsi a modificare solo il primo comma dell’art. 58, occorreva fare un piccolo passo in avanti e modificare anche il secondo comma, e allineare l’elettorato passivo del Senato con quello della Camera, in modo tale che per diventare parlamentare (deputato o senatore) fosse sufficiente avere 25 anni.

Una riforma minimale, quindi. A che pro? Il quesito rampolla da un dubbio, che è quello riferito a chissà quale forza politica speranzosa di “accaparrarsi” una buona parte di quei 4 milioni di voti di elettori, che sono nella fascia tra i 18 e i 25 anni e che quindi voteranno anche per il Senato nella prossima legislatura.

Un argomento che si è provato a sostenere è quello di avere voluto favorire il formarsi di un’uniformità delle maggioranze politiche in entrambi i rami del Parlamento, grazie al cd. “effetto trascinamento” del voto. Tutto da dimostrare: primo, perché si può disgiungere il voto per la Camera da quello per il Senato; secondo, perché dipenderà dal sistema elettorale in vigore; terzo, perché vale ancora il principio costituzionale che il Senato è eletto su base regionale (art. 57) e quindi non potrà non avere una sua diversificazione.

Aggiungo, che non è affatto da scartare un’ipotesi di largo astensionismo al voto da parte di quei giovani, che non gradiranno il fatto di potere solo votare per eleggere solamente duecento senatori che hanno da 40 anni in su.  Concludo sul punto: se questa riforma vuole altresì essere una lenta marcia verso il monocameralismo di fatto, allora sbaglia percorso e rischia di finire fuori strada. Il monocameralismo consiste non tanto nell’abolizione di una delle due Camere, ma piuttosto nella trasformazione di una Camera in un’Assemblea rappresentativa delle autonomie territoriali, come da tanti anni si invoca di fare e non si riesce a realizzare (complice anche il corpo elettorale che bocciò il referendum nel 2016).

Siamo passati dall’idea di una grande riforma (non solo di craxiana memoria) alla realizzazione di micro riforme. Prima con la riduzione del numero dei parlamentari, adesso con la riduzione anagrafica dell’elettorato attivo del Senato; domani con la riforma dei regolamenti parlamentari sul divieto di cambiare gruppo. È un cambio di rotta tutt’altro che apprezzabile. Perché accantona il problema della governabilità, del riordino del confuso Titolo Quinto, della riforma del bicameralismo in senso differenziato. Anni di battaglie, più fuori che dentro il Parlamento a dire il vero, per una democrazia efficiente ed efficace al passo con le altre democrazie europee, che rischiano di essere logorate da sottili modifiche costituzionali, della cui rilevanza e impatto positivo sulle istituzioni è lecito dubitare.

Vanno bene le modifiche puntuali e non disaggregate, accogliendo così una reiterata critica, ma purché puntino diritto al cuore del problema. Che non è il numero dei parlamentari né tantomeno il voto ai diciottenni per il Senato. Piuttosto è ancora un governo che governi, un Parlamento che legiferi, un corpo elettorale che scelga i suoi rappresentanti e legittimi con il voto i suoi governanti. Se una macchina non funziona, allora occorre cambiare il motore; se cambi il paraurti ovvero le borchie delle ruote la macchina continua a non funzionare.

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