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Italia-Inghilterra, una finale Euro2020 geopolitica

Di Alessio Postiglione

Questo Europeo ha plasmato uno spazio valoriale e culturale, non solo geografico. Dal punto di vista geopolitico, i veri protagonisti sono state le identity politics e i diritti civili. E stasera: Global Britain Vs mercantilismo Ue? Sovranismo inglese contro europeismo italiano? Forse, ma i significati si confondono

La finale di Euro 2020 fra Inghilterra e Italia sarà uno spettacolo non solo sportivo, ma geopolitico ed economico. La professoressa Simona Caricasulo, docente di Economia aziendale dello sport della Luiss, ha stimato un rimbalzo del Pil per l’Italia pari allo 0,7% del Pil, con un effetto negli anni a venire stimabile intorno a 12 miliardi di euro, qualora vincessimo. “Dopo il trionfo ai Mondiali 2006, l’export italiano fece segnare +10%”, d’altronde.

In Inghilterra, alcuni conservatori stanno sostenendo che i successi della loro nazionale siano legati alla Brexit: Global Britain Vs mercantilismo Ue? Sovranismo inglese contro europeismo italiano? Forse, ma i significati si confondono. Relativamente alle polemiche dell’inginocchiamento o meno dell’Italia per onorare Black Lives Matter, c’è chi ha elogiato le squadre che hanno reso omaggio a questa battaglia, altri che hanno sottolineato positivamente i team multietnici: il brand “Inghilterra”, in entrambi i casi, si sarebbe distinto per una “vision” liberal e progressista, perfino liberista, se è vero che Goldman Sachs punta sulla squadra dei tre leoni. La verità è che il calcio britannico, con il ricorso massiccio ai capitali stranieri, la costruzione di stadi-centri commerciali, il primato dei diritti tv, la deterritorializzazione delle sue squadre – diventate brand globali e non più legate al campanile -, è stato un antesignano di quel processo di “commodificazione” del pallone che lo ha trasformato da rito collettivo della working class a consumo individuale da ceti abbienti. L’Italia andava forte con i grandi patron espressione del capitalismo familiare o taylorista negli anni ‘80 e ‘90: le squadre dei Moratti, Viola, Tanzi, Ferlaino.

Caso a parte il Milan di Berlusconi, inventore della politica spettacolo, secondo il compianto politologo Giovanni Sartori, e campione dell’uso politico del calcio, come testimonia la creatura del Cav, Forza Italia, che replicava nel linguaggio e nella retorica la sua vincente epopea sportiva. Da allora, la marginalizzazione economica dell’Italia ha coinciso anche con il nostro ridimensionamento calcistico, soprattutto di club. Ma a livello di nazionali, è un’altra musica. Con buona pace di Goldman Sachs. Sicuramente, il Regno Unito si sta proiettando sul palcoscenico globale, dopo la Brexit, con gli Europei, ma non solo: anche G7 e la prossima Cop26 in autunno. L’obiettivo è dimostrare di essere europei, nei valori, anche se fuori dalla Ue. Per l’Italia, l’obiettivo potrebbe essere l’opposto: dimostrare di essere nella Ue, oltre ad essere nell’Europa. Reiterare, dunque, come già avvenuto, una certa fedeltà euroatlantica, grazie a Draghi, dopo la sbornia sovranista di Conte, i Memorandum of understanding con la Cina sulla via della seta, le relazioni pericolose con la Russia. Insomma, c’è da scommetterci che anche il compassato Draghi sarebbe ben lieto di acciuffare la coppa, sebbene non abbia esibito il look esuberante di Boris Johnson a Wembley in occasione di Inghilterra Danimarca.

Di certo, la dimensione geopolitica di questo Europeo non si limita alla finale. Basti pensare alle polemiche per la maglietta della Nazionale Ucraina, comprensiva di quella Crimea, nello stemma, scippata dai russi; la Uefa ha dato ragione a Kiev su questo punto, ma li ha censurati per il ricorso a un motto nazionalista stampato sulle loro magliette, “Gloria agli eroi”, sempre denunciato da Mosca, ispirato a movimenti locali collaborazionisti e paranazisti, secondo la portavoce del Ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova.

La Uefa ha anche punito il calciatore austriaco di origini serbe Marko Arnautović per aver offeso il calciatore macedone e di origini albanesi Ezgjan Alioski. Il Kosovo e le questioni nazionali sono state protagoniste, come dimostra il caso dei fischi scozzesi all’inno britannico. La complessa situazione britannica, in vero, è intrecciata a questo europeo dai tempi della sua assegnazione. Platini, infatti, scommise in favore di un Europeo pancontinenate, non ospitato, cioè, da uno o due Paesi, quando dovette sbrogliare la complessa matassa dell’assegnazione. All’inizio, l’obiettivo era assegnarlo alla Turchia, che attraverso questo evento avrebbe affermato il suo nuovo status di potenza regionale neo ottomana. Quando Ankara si tirò indietro per partecipare all’assegnazione delle Olimpiadi, rimasero in piedi due opzioni non particolarmente allettanti. Una degli azerbaigiani e un’altra relativa ad un Europeo solo in Galles, Scozia e Irlanda del Nord. L’Union Jack senza la croce di San Giorgio. Meglio puntare su questa nuova formula, allora. Fra l’altro, coerente con la nuova visione di studiosi come Parag Khanna e Saskia Sassen, per il quale il futuro non è degli Stati nazione, ma dei network di città-stato globali, proprio come quelle scelte come sedi di questo campionato.

Ma dal punto di vista geopolitico, i veri protagonisti sono state le identity politics e i diritti civili. Prima con Black Lives Matter e poi con le querelle relative all’illuminazione dell’Allianz Arena a sostegno della campagna per i diritti Lgbtq, contro delle presunte leggi omofobe in Ungheria. Alla fine, Orban è riuscito a far spegnere le luci arcobaleno, e la bandiera delle minoranze esposta in occasione dei quarti di finali a Baku fra Repubblica Ceca e Danimarca è stata sequestrata, ma non è stato punito il capitano della Germania Neuer per aver indossato la fascia da capitano iridata. La Uefa avrebbe riconosciuto la “giusta causa”, in occasione della gara con la Lettonia il 7 giugno.

Ma il dato è un altro. Questo Europeo ha plasmato uno spazio valoriale e culturale, non solo geografico. L’Europa, insomma, non è soltanto la Ue a 27 Stati, tantomeno lo spazio Nato, ma arriva in Asia, con l’Azerbaigian, include la Russia, Paesi attraversati da profonde fratture etniche e culturali, come la Macedonia e l’Ucraina, stabilendo che questa eurosfera calcistica debba essere informata ai valori tipicamente liberal anglobritannici o delle città più cosmopolite dell’Europa centrale e meridionale, come quelli Lgbtq.

Una coppa, dunque, non solo calcistica.

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