Ritardi sull’innovazione, sistema giudiziario penalizzante, infrastrutture inadeguate… Nelle dinamiche tra Nord America e Cina, l’Italia rischia di essere il fanalino di coda dell’Ue, sempre che non venga commissariata. Il corsivo di Giuseppe Pennisi
Il 20 luglio, il Centro Europa Ricerche (Cer) presenterà l’ultimo libro di Paolo Guerrieri, che dopo una lunga carriera all’Università di Roma La Sapienza ed un mandato come senatore, insegna ora al Sciences Po di Parigi ed all’Università di San Diego in California. Alla presentazione, parteciperanno economisti di rango come Andrea Boitani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Giorgia Giovannetti dell’Università degli Studi di Firenze e Pier Carlo Padoan, già Ministro dell’Economia e delle Finanze ed ora Presidente Unicredit.
Guerrieri, con Padoan, ha portato in Italia negli anni ottanta del secolo scorso la international political economy ed è uno dei maggiori esperti di economia internazionale a livello europeo. Il libro (Partita a Tre, Il Mulino) tratta, infatti, dell’evoluzione dell’economia mondiale dopo la grande crisi provocata dal Covid-19. Non è questa la sede per anticiparne i contenuti. Dato che ho un’amicizia quarantennale con Guerrieri (siamo anche vicini di casa), e per questa ragione ho avuto l’opportunità di leggere il saggio in anteprima, sarebbe scorretto riassumerlo prima della presentazione ufficiale.
C’è, tuttavia, un punto importante che deve essere sottolineato e che dovrebbe essere argomento di dibattito politico. Nella partita a tre per il futuro dell’economia mondiale (tra Nord America, Cina ed Europa), l’Italia rischia di essere il proverbiale vaso di coccio.
Nell’economia internazionale che si sta delineando e che prenderà una forma sempre più chiara nei prossimi anni, l’Italia arriva dopo un prolungato (oltre vent’anni) periodo di ristagno, grandi ritardi in materia d’innovazione, un sistema istituzionale vecchio, una pubblica amministrazione anziana e che tende ad opporsi a riforme, un sistema giudiziario che induce le imprese italiane a scappare all’estero e blocca sul nascere le velleità di quelle straniere ad investire nel nostro Paese, il pullulare di piccole imprese spesso familiari restie al cambiamento, infrastrutture fisiche inadeguate, istruzione e formazione di altri tempi ed il maggiore squilibrio demografico dei Paesi industrializzati ad economia di mercato.
Altri hanno dipinto un quadro analogo di decadenza economica, piuttosto che di declino. Questa volta lo si vede ancora di più perché è situato nel contesto di un conflitto di chi dominerà l’economia mondiale nel secolo appena iniziato. È un conflitto principalmente tra Nord America e Cina. L’Unione Europea (Ue) ha probabilità di ritagliarsi uno spazio ed un ruolo. L’Italia, tuttavia, rischia di essere il fanalino di coda dell’Ue, sempre che non venga prima o poi costretta, se non ad uscirne, ad essere commissariata.
È una prospettiva che devono tenere in conto coloro che si oppongono o vogliono ammorbidire riforme essenziale (come quella della giustizia e della pubblica amministrazione in discussione in questi giorni) o che, guardando alla elezioni del 2023, introducono diversivi (legge Zan, ius soli, voto ai sedicenni, nuove “tasse sul morto”, e simili) che distolgono dal compito essenziale di effettuare riforme difficili per evitare la decadenza dell’Italia.