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Economia digitale, se l’Ue rischia la collisione con gli Usa (nonostante il G20)

Andreas Schwab, relatore dei pacchetti legge europei che rimodelleranno l’economia digitale, sembra avere solo le aziende a stelle e strisce nel mirino. Ecco come Bruxelles rischia di non mostrare “buona fede negoziale” nelle trattative con Washington che includono minimum tax, digital tax e regolamentazione di Big Tech

Pare che le economie globali si stiano lentamente allineando riguardo al trattamento dei giganti tecnologici, dopo anni di impasse. Ne è prova lo storico accordo sulla tassazione raggiunto da oltre 130 Paesi in sede Ocse e formalizzato al G20 di Venezia. Mancano ancora mesi (forse anni) alla messa a terra legale, ma ne varrà la pena: una soluzione omnicomprensiva di tale portata, armonizzando l’approccio globale, andrebbe a vantaggio di tutti. Perciò la linea di Bruxelles, che pare ancora decisa ad andare dritta per la propria strada, fa alzare qualche sopracciglio.

L’Unione europea studia misure drastiche da tempi non sospetti, ancora prima che la sua risolutezza venisse aumentata dai quattro anni di protezionismo digitale firmato Donald Trump. A dicembre la Commissione ha ignorato le richieste della nuova amministrazione statunitense, guidata dal più amichevole Joe Biden, e ha presentato due proposte di regolamento – il Digital Services Act e Digital Markets Act – per rimodellare l’economia digitale, in largo anticipo rispetto agli accordi di questa estate. Il Dsa e il Dma sono ancora al vaglio del Parlamento europeo, ma nel frattempo sono arrivate delle proposte drastiche che hanno fatto innervosire Washington.

A giugno il Consiglio di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden ha scritto alla Commissione europea per esprimere la propria preoccupazione riguardo alle “politiche protezionistiche che prendono di mira esclusivamente le aziende americane”. Allora rispose il  Commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager, negando le accuse di antiamericanismo e puntualizzando che il Dma mira a delineare nuove regole per quelle piattaforme tecnologiche abbastanza grandi da essere gatekeepers (ossia quelle sistemiche, in grado di controllare l’accesso al mercato di riferimento, ndr).

Tuttavia rimane difficile scrollarsi di dosso la sensazione che Bruxelles abbia le aziende di Washington nel mirino, dato che i criteri proposti per identificare e regolamentare pesantemente i gatekeepers isolano esclusivamente quelli a stelle e strisce. Sarebbero escluse realtà europee come Booking.com e Spotify, ma anche le cinesi come Alibaba e TikTok. Eppure tutte queste sarebbero rientrate nei criteri contenuti nella versione originale del pacchetto Dma/Dsa.

L’uomo dietro alla proposta di revisione è Andreas Schwab, eurodeputato tedesco del Ppe impegnato da anni sul fronte dell’economia digitale. Uno che sulle Big Tech non ci va certo per il sottile: a maggio aveva dichiarato che Google, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft erano “il problema principale”, mentre a febbraio, in un’intervista al Foglio, le ha paragonate agli oligopolisti della Germania degli anni Venti che “hanno aiutato l’estrema destra e Hitler ad andare al potere”.

Stamattina, sul Financial Times, Schwab ha risposto alle accuse di antiamericanismo sottolineando che anche il Congresso americano mira a tassare internamente le grandi compagnie tech, quelle che valgono più di €600 miliardi, dunque le istituzioni americane dovrebbero astenersi dal difendere le aziende tecnologiche. “Certamente dobbiamo trovare un compromesso. Da una parte dobbiamo dire ‘game over’ alle pratiche anticoncorrenziali, dicendo molto francamente che siamo stati truffati per troppo tempo […] dall’altra dobbiamo assicurarci di non regolamentare eccessivamente, di fare qualcosa di utile per il mercato e per altre compagnie che ci vogliono entrare e competere”.

E però si intravvedono alcune crepe nel ragionamento di Schwab, che riprende la linea Vestager asserendo che i criteri sono inerenti alla dimensione relativa nel mercato ma vagheggia un po’ sulle aziende Big Tech non americane: “[…] non sappiamo se [includere compagnie come] TikTok e Alibaba  perché la maggior parte di queste [non è nemmeno quotata in borsa]”. E rincara così: “sappiamo per certo che presto avremo anche aziende europee di queste dimensioni. Queste regole si applicheranno anche a loro, quindi non c’è alcun tipo di antiamericanismo in atto”. Frase che stona con l’esclusione delle già rarissime Big Tech europee dalla modifica proposta al Dma.

C’è della verità nell’asserzione americana che “[questa] proposta protezionistica […] non denota buona fede negoziale”. Lo sa anche la Commissione, che ha fatto trapelare di aver preso in considerazione lo slittamento della propria tassa digitale, che sarebbe imminente, per accomodare lo “storico accordo G20”. A ogni modo sarà difficile eludere l’accusa di discriminazione antiamericana se il Dsa e il Dma andranno avanti in parallelo nella forma immaginata da Schwab. Se l’accordo in seno al G20 va verso una certa forma di armonizzazione e reciprocità, le tendenze più oltranziste in Europa rischiano di remare contro.



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