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Tre errori. Fatali?

La similitudine di un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è la rappresentazione dello stato delle cose nell’Unione europea. Infatti con il Fiscal compact e le decisioni prese a sostegno dell’euro alcuni ritengono che l’Unione abbia fatto passi avanti e altri che li abbia fatti indietro.
 
L’aver scongiurato la catastrofe non ha impedito che le parti deboli dell’Unione pagassero un costo elevato, certamente frutto di loro politiche inadeguate, ma anche per l’assenza di unità politica il cui raggiungimento, come ci ha ancora una volta ricordato Helmut Khol, è sempre stato l’orientamento per la navigazione europea. La crisi e la soluzione a essa data sono state la tomba delle speranze che aveva coltivato la maggioranza dei Paesi membri. Considerato da questo punto di vista, il bicchiere più che mezzo vuoto, si è svuotato.
 
Il primo problema che oggi si pone all’Europa è su quali basi si può riprendere il cammino verso l’unificazione politica. Per far ciò si deve partire dalle ragioni che hanno indotto ad abbandonare l’ambizioso disegno. Lo ravviserei nella scelta fatta dalle élites europee di dare un maggiore peso alla volontà popolare che, se non è ben coltivata, spinge verso gli egoismi nazionali; questi sono radicati da secoli e non possono essere cancellati con esperimenti durati appena mezzo secolo.
 
Nell’attuazione dei grandi disegni costituzionali la democrazia popolare impone un percorso irto di ostacoli. La reazione dell’elettore francese alla proposta di Costituzione europea ne è la conferma. Attendiamo leader capaci di riprendere l’itinerario per l’unificazione politica che, pur avendo perso vigore pratico, si è accresciuta d’importanza per gli sviluppi geopolitici e geoeconomici dominati da aree intensamente popolate e governate da esecutivi forti. Solo l’Europa unita può competere, non certo la Germania isolata o un’Unione che resta divisa sui temi principali del mondo.
 
Se manca la ripresa di un movimento verso la messa in comune delle sorti dell’Unione europea sarà molto difficile procedere alle riforme istituzionali necessarie per fronteggiare la disoccupazione: dalla normazione allargata dei poteri e dei doveri della Bce per sottrarla alle scelte discrezionali di vertice alla gestione di una politica fiscale “comune” che non sia fatta solo da vincoli, ma offra opportunità di crescita; come pure la definizione di una politica estera e della difesa comuni, tutti corredi indispensabili per non sedere da spettatori tra i grandi della Terra.
 
Dalla valutazione del costo della non-Europa che ci ha indotto a firmare il Trattato di Maastricht e consentito di tamponare la crisi dovremmo passare ora alla valutazione del costo della non-unificazione politica per offrirla nuovamente in opzione ai Paesi, rimediando agli errori commessi.
 
Il primo errore, che sembra aver contagiato anche il Fmi, è che si è sfruttata la tensione nei mercati per ottenere dai Paesi membri l’accettazione di comportamenti deflazionistici. Questa è una tattica molto pericolosa in presenza di mercati speculativi assai reattivi che si alimentano in queste stesse tensioni e aggravano la soluzione dei problemi. Il caso Italia è da manuale. Uno spread tra i rendimenti dei Btp e dei Bund che muoveva rapidamente verso l’alto per l’assenza di una rete protettiva europea “certa” ha causato una rivoluzione democratica in Italia. Il permanere dello spread su valori incongruenti con l’effettivo rischio di default dell’Italia suggerisce e consente di forzare all’interno decisioni in senso non pienamente democratico, aumentando il costo dell’aggiustamento.
 
Un secondo errore è aver caldeggiato il soft default della Grecia, un’informazione che si è incorporata nelle aspettative di mercato sui debiti sovrani in difficoltà, peggiorandone la gestibilità. Da questo stato di cose si può uscire solo assegnando alla Bce il compito di esercitare in pieno le funzioni di lender of last resort, piuttosto che creare un meccanismo di sostegno degli stessi (l’Efm) dotato di mezzi inadeguati. La speculazione sconta che questa decisione non verrà presa e, quindi, ha più spazio di azione rispetto a una situazione che presenti un lender of last resort realmente impegnato nell’assolvere a questa funzione. Ovviamente la Bce opererebbe in modo autonomo per fronteggiare gli attacchi speculativi che non siano originati da condizioni di insolvenza, ma di illiquidità. Nel caso di insolvenza l’Ue si deve dotare di un meccanismo che sottragga al mercato le scelte di aggiustamento per limitare i costi diretti per il Paese che vi incappa e indiretti per tutti gli altri.
 
Proprio su questo aspetto, l’Ue ha commesso il suo terzo errore, quello di imporre il rigore fiscale senza tenere conto della caduta che avrebbe comportato nella crescita reale. L’alternativa rispetto alle politiche seguite sarebbe stata di domiciliare i debiti nazionali in eccesso al 60% presso un fondo europeo, negoziando un piano di rimborso con il Paese che ne fa ricorso e applicando immediatamente il rigore fiscale. Non si accentuerebbero i contenuti deflazionistici dell’intervento riequilibratore, come nel caso del Fiscal compact, impedendo che si crei un circolo vizioso nel rapporto debito pubblico/Pil, come sta accadendo in Grecia. Siffatto meccanismo fungerebbe da efficace firewall (porta di fuoco) della speculazione anche per Paesi, come l’Italia, in condizione di rimborsare il loro debito.
 
In assenza di un’unione politica viviamo in una situazione di troppa discrezione nell’esercizio dei poteri della Bce e poca nei poteri dei vertici dell’Unione, sempre più vincolati da regolamenti redatti sotto l’influenza di Paesi come la Germania che, a detta degli stessi proponenti e anche firmatari (come la Spagna e l’Olanda), sono destinati a essere violati in presenza di gravi crisi. Se non si rimuovono questi tre errori i cittadini europei saranno governati da uomini e non da leggi, una situazione pericolosa per i sistemi di libertà democratici.


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