Nei sedici anni del suo cancellierato, la Germania è uscita dal nucleare, ha abolito la leva obbligatoria, ha avviato la svolta energetica, ha migliorato le politiche di conciliazione per le donne, ha introdotto il matrimonio per tutti e il salario minimo, ha moltiplicato le missioni all’estero, ha mantenuto i conti pubblici in pareggio per sette anni e nel 2015 accolto un milione di rifugiati. L’articolo di Tonia Mastrobuoni, corrispondente da Berlino de La Repubblica, apparso sulla rivista Formiche
A pochi mesi dal suo addio, Angela Merkel è ancora costretta a leggere sui giornali lamentele grottesche sulla perdita di identità della Cdu. La cancelliera ha guidato la Germania negli ultimi sedici anni e i conservatori negli ultimi venti, incassando ininterrottamente risultati tra il 30 e oltre il 40%. Oltretutto negli anni in cui i partiti tradizionali si squagliavano in tutta Europa come neve al sole, schiacciati dalla lunga crisi finanziaria e dalle emergenze migranti.
La prima cancelliera donna continua a essere trattata come una parentesi, un corpo estraneo, una marziana. E nel partito ragionano ancora come se si potesse tornare a un fantomatico “prima”, come se Merkel avesse dilapidato un patrimonio di valori e principi di un paradiso perduto dei cristiano-democratici. L’unico che sembra aver capito l’immenso patrimonio che Merkel ha garantito alla Cdu, anche in termini di consenso, è il leader della Spd e vicecancelliere, Olaf Scholz. Che senza tanti giri di parole, mentre qualcuno vorrebbe strattonare la Cdu a destra, ha lucidamente annunciato che la Spd andrà a caccia dei voti di Angela Merkel.
Dal 2000, quando ha preso in mano un partito lacerato dallo scandalo dei fondi neri di Helmut Kohl, Merkel ha occupato via via il centro della scena politica. Ha cannibalizzato i partiti a destra ma soprattutto a sinistra, i liberali e i socialdemocratici, ha cambiato il Paese. Nei sedici anni del suo cancellierato la Germania è uscita dal nucleare, ha abolito la leva obbligatoria, ha avviato la svolta energetica e il processo per chiudere le miniere di carbone, ha migliorato le politiche di conciliazione per le donne, ha introdotto il matrimonio per tutti e il salario minimo, ha moltiplicato le sue missioni all’estero, ha mantenuto i conti pubblici in pareggio per sette anni e ha deciso, nel 2015, che la Germania avrebbe avuto le spalle abbastanza larghe da accogliere oltre un milione di rifugiati.
Merkel ha cambiato il Paese senza grandi afflati riformisti, piuttosto con piccoli passi, ma lo ha saputo adeguare rapidamente a un mondo in radicale trasformazione. La cancelliera cresciuta nella Germania est ha colto immediatamente le opportunità di una Cina in rapida espansione, trasformandolo nel suo primo partner commerciale. Ma ha imparato, in anni recenti, anche a proteggere l’alta tecnologia dalle incursioni di Pechino, cambiando la legge sulle aziende strategiche.
Negli anni di Merkel, la Germania è rimasta sempre in movimento. Il Paese che Armin Laschet, lo spitzenkandidat della Cdu/Csu, eredita da Merkel è anche un Paese che ha conquistato un ruolo centrale in Europa, nel bene e nel male. La crisi dell’euro le è costato il nomignolo “madame non”. La sua miopia, i suoi tentennamenti e l’eccesso di austerità applicato ad alcuni Paesi come la Grecia hanno creato una forte divisione in Europa tra i Paesi del nord e del sud. Ma la sua capacità di mantenere successivamente, anche grazie al dialogo costante con il presidente della Bce Mario Draghi, un approccio pragmatico alla crisi ha salvato l’Europa da una spirale irreversibile.
Sotto la sua guida l’Europa dei governi ha nettamente prevalso su quella delle istituzioni, e non sempre è stato un bene. Nel maggio del 2010 fu il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker a proporre per primo un meccanismo di redistribuzione dei migranti. Nessuno lo ascoltò perché i flussi continuavano a provenire dal Mediterraneo. Quando i profughi siriani cominciarono a prendere la rotta dei Balcani e ad arrivare direttamente nell’Europa centrale, Merkel affrontò finalmente il problema e propose insieme alla Francia la redistribuzione delle quote. Ne scaturì un accordo europeo che è rimasto in ogni caso, com’è noto, lettera morta.
Al suo ultimo Consiglio europeo, Merkel ha proposto di riallacciare il dialogo con Vladimir Putin attraverso un vertice Ue-Russia, di instaurare con Mosca un rapporto di “bastone e carota”, di dura reazione nel caso di prove di forza, ma anche di discussione costruttiva per affrontare sfide difficili come la stabilizzazione della Libia o la lotta ai cambiamenti climatici. La proposta, per ora, non è passata. Ma ancora una volta la cancelliera ha tentato di ricordare all’Europa l’importanza dell’unità, in un mondo globalizzato, e del dialogo, indispensabile con gli avversari.