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L’Italia sia più lepre e meno lumaca sul Pnrr. Scrive Zacchera

Di Marco Zacchera

A pare la giustizia, come vanno invece le altre riforme promesse a Bruxelles? Le più urgenti, sottoscritte nel contratto con l’Europa, sono quelle per il reclutamento di forze nuove nella Pa, la semplificazione in materia di processi burocratici, le norme sull’ambiente. Anche qui praticamente non ci si è mossi e si può pensare a una serie di decreti autunnali, ma l’Italia è già in ritardo. Il commento di Marco Zacchera

Certamente a Ferragosto ci sono tematiche che interessano a pochi o a nessuno, eppure dovremmo ricordarci tutti che i fondi europei del Pnrr non sono ancora definitivi e che è ancora lunga la strada per arrivarci. In spiaggia non ne parla più nessuno, tutti lo danno per scontato, ma le nostre schede inviate a Bruxelles – pur approvate in via di massima – andranno ora presentate nei dettagli e soprattutto applicate.

Non è un discorso da poco, perché senza quei fondi il nostro paese semplicemente non potrebbe economicamente farcela, anche se parte di quei finanziamenti saranno comunque un macigno sul futuro delle nuove generazioni italiane, soprattutto se non fossero spesi bene.
Poiché parlare è facile ma realizzare è ben più difficile, speriamo che le decisioni europee siano spinte più dalla politica che da un serio esame delle carte, perché altrimenti l’Italia (e non solo il nostro governo, vale anche altre nazioni europee) si troverebbe in grande difficoltà a passare l’esame.

La riforma della giustizia – per esempio – che è stata venduta come rivoluzionaria è in realtà un semplice accordo minimale per correggere in qualche modo le fughe in avanti dell’ex ministro Alfonso Bonafede che – da buon grillino – aveva curato più gli aspetti demagogici e di immagine che la sostanza, togliendo all’imputato – fosse o meno un pubblico amministratore- ogni certezza sui tempi processuali.

La realtà di una giustizia italiana – a parte le liti parapolitiche che la squassano ai vertici – incagliata è evidente e certificata, difficile pensare che la Cartabia possa ora passare per contro-rivoluzionaria. Semplicemente si sono reinserite alcune date certe di prescrizione, ma senza incidere sulla concretezza dei limiti organizzativi (e lavorativi) della giustizia italiana con magistrati che spesso si auto-considerano una casta.
Nessuna rivoluzione, quindi, anche perché la ministra è soprattutto lanciatissima sull’ obiettivo Quirinale, meta raggiungibile se Draghi si trovasse in controtempo dovendo ancora puntellare il governo al momento del voto presidenziale.

Tornando alla giustizia, sono anni che l’Ue – e non solo – ci chiede tempi più brevi per i processi e norme più garantiste per coloro che sono in attesa di giudizio. È noto che le imprese straniere non investono in Italia e quelle italiane scappano all’estero anche per un sistema giudiziario carente (direi “borbonico”, ma poi si offenderebbero gli amici lettori del Sud) con ritardi impensabili nella gestione dei processi.

Mentre i media sottolineano gli accordi raggiunti a livello di governo, con Draghi bravo a cercare di tenere vicine parti tra di loro divergenti, andrebbe però ben spiegato agli italiani che le “riforme” votate dal Parlamento- spesso con voti di fiducia e in poche ore – sono in realtà deleghe al governo ad emettere successivamente complessi decreti attuativi, ovvero costruire effettivamente le nuove normative.
In qualche modo sempre più spesso il parlamento si spossessa della propria funzione delegandola a tecnici che però poi rispondono soprattutto a sé stessi.

Ok per i principi generali, infatti, ma ci sono ora migliaia di decreti in arretrato in tutti i settori e quindi i tempi di applicazione effettivi delle riforme votate dalle Camere diventano sempre più lunghi e tortuosi, quando sapienti “manine” non ne intaccano addirittura silenziosamente anche la sostanza, a vantaggio di chi riesce ad intrufolarsi al momento giusto.

A pare la giustizia, come vanno invece le altre riforme promesse a Bruxelles? Le più urgenti, sottoscritte nel “contratto” con l’Europa, sono quelle per il reclutamento di forze nuove nella Pubblica amministrazione, la semplificazione in materia di processi burocratici, le norme sull’ambiente. Anche qui praticamente non ci si è mossi e si può pensare a una serie di decreti autunnali, ma certamente l’Italia è già in ritardo sui tempi promessi, come Draghi peraltro sa benissimo. Anche per questo da settembre il lavoro politico non mancherà, con il rischio che in vista delle amministrative di ottobre si moltiplicheranno comunque le occasioni di scontro, anche (e soprattutto) dentro l’attuale maggioranza.

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