Segnare in calendario: 24 settembre 2182. È la data che la Nasa ritiene più probabile per l’impatto dell’asteroide Bennu sulla Terra. Nessuna paura, la probabilità è bassissima, pari allo 0,037%. E intanto sono già in corso prove di difesa interplanetaria…
Bassissima, pari allo 0,057%. È la probabilità che l’asteroide Bennu, il più celebre delle cronache scientifiche, si schianti sulla Terra nei prossimi trecento anni. Probabilità ancora più bassa rispetto a quanto noto fino a mercoledì scorso, quando i ricercatori del “Near-Earth object observations program” della Nasa, guidati dall’italiano Davide Farnocchia, hanno pubblicato sulla rivista Icarus i risultati dell’analisi su nuovi dati.
Analisi non semplice, visto che quella che potrebbe sembrare una sfera con diametro di 500 metri (più dell’Empire State Building) ha in realtà una forma irregolare, con centinaia di altri corpi che potrebbero deviarne la traiettoria, oltre all’effetto incerto delle radiazioni cosmiche.
Scoperto nel 1999 grazie all’osservazione telescopica, Bennu rientra nella categoria di “asteroidi Apollo”. Sono oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra a causa della possibilità di impatto, poiché hanno un’orbita intorno al Sole con afelio esterno all’orbita del nostro Pianeta e perielio interno. Il risultato è che le due orbite si possono intercettare, da qui il possibile rischio di un impatto che risulterebbe particolarmente catastrofico.
Secondo quando detto da Lindley Johnson, planetary defense officer della Nasa, Bennu genererebbe un cratere di dieci/venti volte la sua dimensione, causando un’area di devastazione fino a cento volte quella del cratere. Facendo qualche rapido calcolo e partendo da un diametro di 500 metri, significa che l’area coinvolta da un eventuale impatto potrebbe arrivare a 785mila chilometri quadrati, pari a buona parte dell’Europa centrale (la sola Germania occupa una superficie inferiore ai 360mila chilometri quadrati).
Il rischio è comunque molto basso stando ai nuovi numeri della Nasa, basati sugli ultimi dati forniti dalla sonda Osiri-Rex, che solo lo scorso 10 maggio ha lasciato Bennu dopo due anni di indagini scientifiche. Partita nel 2016, la missione Nasa si è avvicinata all’asteroide nel 2018. L’anno dopo sono iniziate le attività di raccolta di campioni, ormai terminate, in attesa che il prezioso carico venga riportato sulla Terra tra un paio d’anni.
Secondo i nuovi dati, Bennu potrebbe avvicinarsi alla Terra nel 2135. La probabilità generale di impatto fino al 2300 è dello 0,057%, cioè una su 1.750. La data più plausibile è fissata al 24 settembre 2182, con una probabilità che scende però alo 0,037%, pari a una su 2.700.
Ciò conferma che la minaccia di un asteroide in picchiata sulla Terra non appare (fortunatamente) ancora concreta. Certo, non si esclude che in futuro non possa rappresentare un rischio importante (se non vitale) per il nostro Pianeta. È per questo che, oltre alle analisi previsionali, tra Europa e Stati Uniti si lavora anche su eventuali capacità di difesa.
Da diversi anni Nasa ed Esa hanno iniziato a lavorare sul programma “Asteroid impact & deflection assessment”, volto a scoprire le possibilità di una difesa interplanetaria. Per primi partiranno gli americani, alla fine di quest’anno, con la missione Dart, letteralmente “dardo”. La sonda punterà dritto verso Didymos, un sistema binario (classe che comprende circa il 15% degli asteroidi conosciuti) nello Spazio profondo, a circa undici milioni di chilometri dalla Terra. Con una massa di circa 500 chilogrammi, dovrà impattare a una velocità di circa 21mila Km/h (circa sei chilometri al secondo) Dimorphos, il più piccolo dei due asteroidi, pari a circa 160 metri, come la piramide di Giza, cercando di modificarne l’orbita. Potrebbe accadere già nel 2022, considerando che l’arrivo a destinazione di Dart è fissato a undici mesi dalla partenza.
Ci sarà anche un pezzo d’Italia. Argotec, azienda aerospaziale di Torino, è stata incaricata dalla Nasa di realizzare LiciaCube, un piccolo satelliti che sarà a bordo di Dart. Poco prima dell’impatto, dovrà staccarsi da Dart per acquisire immagini ad alta risoluzione del cratere e dei detriti generati dalla collisione. Procederà in navigazione autonoma, compiendo un fly-by del sistema di asteroidi mantenendosi a circa 50 chilometri di distanza. Offrirà le prime informazioni utili a capire i risultati della missione.
Quattro anni dopo, alla fine del 2026, al sistema Didymos si avvicinerà invece “Hera”, dal nome della dea greca del matrimonio, contributo europeo al programma di difesa interplanetaria. Con lancio previsto nel 2024, il veicolo spaziale dovrà eseguire un rendez-vous con l’asteroide e sei mesi di studi ravvicinati sul “cratere sostanzioso” che la sonda americana dovrebbe essere riuscita a produrre su Dimorphos.
(Foto credits: NASA/Goddard/University of Arizona)