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Siria, il passo indietro di Cameron sugli armamenti

Il Regno Unito ha confermato ieri la consegna di materiale di protezione per un eventuale attacco chimico o biologico ai ribelli siriani. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha informato il Parlamento che saranno messi a disposizione 5.000 caschi, pasticche di trattamento preventivo di agenti neurotossici (ci sono prove che il regime di Assad faccia uso di gas sarin) e strumenti per rilevare la  presenza di elementi chimici in mano alla Coalizione Nazionale Siriana. La consegna sarà fatta il 3 agosto.

Ma l’aiuto alle forze dell’opposizione in Siria non andrà oltre. Nonostante la Gran Bretagna, insieme agli Stati Uniti, avesse deciso di cambiare atteggiamento verso il regime di Assad, David Cameron ci ha ripensato: non saranno forniti armi ai ribelli. Secondo il New York Times, il premier britannico si sarebbe reso conto degli “effetti collaterali” di questa scelta.

I rischi per la sicurezza britannica

Cameron ha riconosciuto il rischio concreto che le armi potrebbero finire nella mani delle formazioni jihadiste presenti in Siria. Pur senza avere un ruolo interventista, dare le armi ai ribelli siriani coinvolgerebbe immediatamente al Regno Unito in una vera e propria guerra. E questo metterebbe a rischio la sicurezza nazionale.

La Camera dei Comuni di Londra non ha approvato il consenso per l’invio di armi all’opposizione siriana. Ma questa non è stata la principale causa del dietrofront di Cameron. C’è anche la conferma della presenza in Siria di centinaia di talebani pakistani del gruppo Tehrik-i-Taliban che – sostenuti dall’Occidente – combattono insieme ai ribelli il regime di Assad.

Secondo il Daily Telegraph, fonti militari hanno avvertito Cameron che offrire un aiuto fatto di piccole armi e missili non fa nessuna differenza nel conflitto di fronte alla capacità del governo siriano. Ci vorrebbe un impegno più significativo.

Anche Obama ci ripensa

Anche gli Stati Uniti sembrano essersi tirati indietro nella vicenda siriana. Il mese scorso Barack Obama aveva detto che l’atteggiamento americano sarebbe cambiato e che dopo il superamento della “linea rossa” gli Usa sarebbero diventati più duri, ma dopo quel discorso non c’è stato nessun seguito nei fatti. Forse anche a causa delle perplessità di alcuni membri del Congresso che fanno resistenza all’invio di armi all’opposizione siriana.

Secondo il Wall Street Journal, alcuni consulenti hanno avvertito il presidente americano della possibile violazione del diritto internazionale se si dovesse dare il via libera alla spedizione. La reazione di Assad nei confronti degli Stati Uniti potrebbe essere legittimata.

La fine della ribellione?

La Francia invece è ferma nella sua posizione: non saranno inviate armi finché non sarà garantito l’uso delle stesse. Il timore è che, insieme ai ribelli siriani, si forniscano anche i combattenti islamici. Per il governo francese questa è una condizione essenziale per proseguire negli aiuti.

Intanto, per le forze anti-Assad la situazione è notevolmente peggiorata. Il regime conta sul sostegno di Russia, Iran e la milizia libanese di Hezbollah. E i risultati degli ultimi mesi sono stati evidenti.

“Che cosa stanno aspettando gli amici dell’Occidente? Che l’Iran e Hezbollah uccidano tutto il popolo siriano?”, ha detto il generale Salim Idris, comandante dei ribelli, in un’intervista pubblicata ieri dal Daily Telegraph. Senza le armi inviate dall’Occidente, ha aggiunto, gli oppositori dovranno combattere a mani nude e i gruppi islamici alleati dell’esercito prenderanno il controllo di tutto. Questo, di certo, non conviene a Cameron.



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