Secondo il generale Mirco Zuliani, già vice comandante dell’Allied command transformation della Nato (Nato Act), l’esito dell’intervento occidentale in Afghanistan deve spingere i Paesi dell’Alleanza a una riflessione interna, con un occhio maggiore agli interessi europei e italiani
Ciò che è accaduto in Afghanistan, purtroppo, è il risultato di una serie di errori che, come una valanga che si ingigantisce rotolando fino a travolgere tutto quello che incontra, ha distrutto tutto quello che in venti anni di presenza in quel Paese si è cercato di fare e costruire.
La Nato per l’Italia ha rappresentato l’ombrello di sicurezza in cui ha potuto crescere e svilupparsi negli ultimi settant’anni, ma ha anche significato, dopo l’11 settembre 2001, il quasi-obbligo di seguire gli Usa in varie parti del globo, senza aver mai avuto la possibilità di partecipare alle decisioni e cooptata ex post per dare “intenzionalità” all’operato degli Stati Uniti. Infine, la decisione degli americani di chiudere il capitolo Afghanistan non è stata partecipata e discussa con gli alleati Nato, ma solo comunicata dopo averla già presa e dopo aver avviato i colloqui di pace con i talebani. Insomma, non è così che si può pensare di far sopravvivere l’Alleanza Atlantica in futuro.
Al di là dei vari summit Nato, e degli esiti degli stessi, quello che dobbiamo imparare in fretta dalla lezione Afghana è che la Nato non può e non deve fare sempre ciò che l’azionista di maggioranza (gli Usa) desidera e decide. I vari Paesi membri, e in particolare l’Unione europea, devono riuscire a esplicitare la loro propria visione dell’Alleanza. Il desiderio o aspirazione all’autonomia strategica da parte dell’Ue, autonomia che nell’attuale quadro di mancanza di una politica estera veramente comunitaria rappresenta più un sogno che una futuribile realtà, è osteggiata dagli Stati Uniti desiderosi di mantenere il predominio decisionale che da sempre hanno avuto sulla Nato.
Il mondo oggi è una realtà complessa, interconnessa e interdipendente, e ciò che accade anche in luoghi lontani ha comunque un grave impatto su di noi. Tuttavia, è anche vero che, come Italia, abbiamo degli interessi nazionali primari che restringono il nostro spazio geopolitico. Già oggi è difficile avere in Italia il consenso dell’opinione pubblica per delle operazioni militari, immaginarsi in futuro se per qualche motivo, su spinta Usa, potremmo essere coinvolti in qualche attività nell’emisfero australe o nell’Indo-Pacifico.
Siamo sicuri che l’emergente nuovo concetto strategico “Nato 2030” sia allineato all’interesse strategico europeo, e in particolare al nostro italiano? Tanto più che, come sempre, è stato sviluppato e predisposto dai vari think tank americani con una minima partecipazione europea. Il nostro Paese rischia in futuro di essere in qualche modo “trascinato” in un contesto di confronto mondiale che va ben al di là dell’area geografica di nostro primario interesse, intesa come l’Europa, il Mediterraneo, e i Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale (Mena).
Dobbiamo però essere anche molto onesti con noi stessi: in questi vent’anni di operazioni per la lotta al terrorismo e interventi di pace in Afghanistan e in altre aree del mondo, le Forze armate italiane sono cresciute in maniera esponenziale dal punto di vista delle capacità operative e si è formata tutta una generazione di ufficiali e soldati che li rende unici, una concreta risorsa per il Paese. Ancora di più, in questi anni di forti riduzioni di risorse economiche destinate alle Forze armate, esse hanno potuto “sopravvivere” solo grazie ai fondi ad hoc assegnati per le missioni fuori area.
Al di là di questa esperienza e caratteristica, tutta italiana, l’attuale crisi afghana deve dare una giusta scossa alla Nato: deve essere rivisto e riconsiderato il ruolo e il potere degli Usa al suo interno. Il primo banco di prova lo offrirà proprio la scelta del prossimo Segretario generale, da sempre di fatto scelto dagli americani. Molti nomi circolano già da tempo e, purtroppo, tutti i vari commentatori mettono sempre in risalto il maggiore o minore allineamento alla visione americana del possibile candidato. Perché, invece, l’Europa non coglie l’occasione per presentarsi in modo unitario con una candidatura forte per il prossimo Segretario generale? Perché’ ricorrere sempre a ex-premier di Paesi di secondo piano e non giocare la carta di un “pezzo da 90”, come un ex-capo di governo di un grande Paese dell’Alleanza come (perché no) Angela Merkel? Lei sarebbe sicuramente una candidatura in grado di assicurare maggiormente gli interessi europei e nel contempo tenere aperto il dialogo anche con l’est Europa, cosa di massima importanza per noi europei ma non così cruciale per gli Usa.
Insomma, c’è sempre da imparare dalle esperienze negative. La fine ingloriosa dell’esperienza in Afghanistan della Nato deve essere di stimolo per agire all’interno dell’Alleanza per riequilibrare il potere tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi membri, e in particolare far emergere l’Ue quale contraltare agli interessi americani. Per l’Italia, poi, il nostro interesse nazionale deve essere che la Nato e gli Usa ci stiano accanto nelle regioni del Mediterraneo e nell’area Mena, dove sono i nostri principali e vitali interessi nazionali.