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Come affrontare i “lupi solitari”. Un diritto europeo sulla sicurezza nazionale?

Di Annita Sciacovelli

Come gestire la questione anche alla luce della situazione in Afghanistan? Il commento di Annita Sciacovelli, professoressa di diritto dell’Unione europea, Università degli studi di Bari Aldo Moro, visiting research fellow presso il Center for Business in Society (IESE, Business School, Barcellona), specialista in cybersecurity

L’analisi della questione afgana non lascia dubbi circa l’urgenza per l’Italia di continuare a impegnarsi nel contrasto al terrorismo internazionale di matrice jihadista. A dispetto della perdita di posizioni del Daesh in Siria e Iraq, il terrorismo rappresenta la più grande minaccia per l’Unione europea traendo un importante vantaggio dalla pandemia di Covid-19.

Continuamente le istituzioni europee e internazionali pongono in evidenza lo stretto legame esistente tra la crescente esposizione di giovani al materiale sull’auto-radicalizzazione online e gli attacchi terroristici anche informatici, tanto da coniare i termini di cyber Jihad e cyber Califfato.

Sul punto, il Parlamento europeo, nel policy-insight su “Capire la politica dell’antiterrorismo nell’Unione europea 2021”, ha posto l’accento sull’incremento del fenomeno dei cosiddetti “lupi solitari”. Il termine indica una specifica tipologia di terrorista. Solitamente giovane e radicalizzato (spesso in carcere), il soggetto in questione progetta le proprie azioni violente, che apparentemente mancano di un’affiliazione diretta con le note organizzazioni terroristiche.

Uno studio incentrato su questa tipologia di criminale ha delineato tre profili in base alla personalità (se si tratta di un individuo spinto a compiere azioni violente a causa della povertà, ovvero di crisi interpersonali o familiari), all’ideologia (se si tratta di un individuo spinto da idee nazionalistiche, religiose o politiche), o alla psico-patologia (se si tratta di un individuo spinto dalla predisposizione o dal disordine mentale, o dal desiderio di morte).

Della questione si è occupata anche l’Europol che, in uno studio su “Terrorism Situation and Trend Report, 2021”, ha osservato un aumento di attacchi terroristici rispetto al 2019 a opera dei “lupi solitari” cittadini europei, sovente reduci dell’esperienza di foreign fighters nell’Isis.

Da un punto di vista operativo, sventare questo tipo di attacchi è molto complesso per la difficoltà di raccolta delle informazioni a causa della quasi totale assenza di supporto esterno al terrorista, ciò che sposta l’attività investigativa nella fase preventiva e che può basarsi sull’uso di strumenti tecnologici avanzati.

Infatti, l’attività d’intelligence può essere supportata da strumenti di sorveglianza biometrica di massa che, grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, consentono la raccolta di dati e meta-dati utili a rilevare comportamenti anomali in rete e nell’ambiente fisico e a individuare i soggetti potenzialmente pericolosi.

L’analisi dei dati biometrici è prevista anche dall’Agenda urbana digitale per la pubblica sicurezza dell’Unione europea, in collaborazione con l’European Union Intelligence e Situation Centre.

A tal fine, si osserva però che, se da un lato gli strumenti indicati fungono da virtual agents e si pongono a completamento dell’intelligence umana, dall’altro, il loro utilizzo solleva importanti questioni giuridiche legate alla tutela della privacy e di altri diritti umani fondamentali.

Su tale questione si è espressa la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 25 maggio 2021, Big Brother Watch c. Regno Unito) che ha elaborato un “test di necessità” al quale sottoporre i sistemi di sorveglianza di massa, anche segreta, di cui dispongono gli Stati membri del Consiglio d’Europa (tra cui l’Italia). I giudici europei hanno riconosciuto che la finalità di tali sistemi è la protezione della sicurezza nazionale e di altri interessi da essi ritenuti vitali, onde porli a riparo da azioni terroristiche e da attacchi cyber che possono essere individuati solo per mezzo di attività investigative di intelligence rapide e preventive

In proposito, la Corte europea, nel contesto dell’equo bilanciamento tra il diritto alla tutela della vita privata di ogni individuo (articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e la sicurezza nazionale, ha riconosciuto alle autorità statali un discreto margine di apprezzamento nella scelta dei mezzi necessari per tutelare l’incolumità dello Stato e assicurare la cooperazione internazionale tra agenzie nazionali di intelligence anche di Paesi terzi (nel caso di specie si trattava dell’attività svolta dai cosiddetti Five Eyes – Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda). Pertanto, anche la detection dei “lupi solitari” per mezzo della sorveglianza di massa rientra nel perimetro giuridico indicato nella citata sentenza.

La Corte europea ricorda poi che, in assenza di una minaccia effettiva alla sicurezza nazionale, la sorveglianza di massa, essendo indiscriminata, si pone in contrasto sia con la CEDU sia con la direttiva 2002/58/CE sulla e-privacy.

Il test elaborato dai giudici europei riconosce quindi legittimità alla sorveglianza messa in atto dalle agenzie di intelligence se necessaria, se previamente autorizzata di un’autorità amministrativa indipendente dall’esecutivo e se soggetta a revisione da parte di un tribunale. Si tratta di un test già adottato dal Legislatore italiano nella Legge n. 124/2007 di riforma del Sistema di intelligence.

In conclusione, spetta agli Stati membri l’ultima parola sulla scelta dei mezzi di contrasto al fenomeno del terrorismo – anche cyber – alla luce della continua variabilità dell’ecosistema di sicurezza fisica e digitale. A nostro avviso, ciò impone l’elaborazione di un diritto europeo sulla sicurezza nazionale, inclusivo di un sistema di principi digitali europei, in cui dare spazio sia alla tutela dello Stato e sia al primo dei diritti umani fondamentali, quello relativo alla protezione della vita umana.

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