Chissà che non sia questa la strada per rimettere al centro la politica, farla contare? Il rischio che i partiti corrono oggi in Italia è che, delegittimando l’avversario e urlando a squarciagola la sua “indegnità”, alla fine non governi né l’uno e né l’altro di essi. La bussola di Corrado Ocone
Quando in politica ci sono eventi, o semplicemente dichiarazioni, che non corrispondono ai nostri schemi mentali, che ci spiazzano, siamo portati quasi istintivamente a porci la classica domanda: Cui prodest? A chi giova?
Non significa essere complottisti, ma realisti probabilmente: la politica è l’arte della simulazione e della dissimulazione, dell’inganno e del sotterfugio. È stata anzi la politica ideologica del Novecento ad annacquarne un po’ questa essenza, non perché siano allora mancati certi aspetti torbidi ma perché, in quel caso, i fini delle diverse forze politiche, e gli interessi che rappresentavano, erano a tutti ben chiari.
Una volta tanto non vorremmo sottostare a questo giochetto, e provare a pensare che le parole pronunciate ieri dal governatore della Puglia nei riguardi di Matteo Salvini siano sinceramente sentite. Certo, Michele Emiliano e Salvini hanno poco da spartire: per visione del mondo, approcci alla politica, gruppi di riferimento, carattere. Basti solo pensare che l’uno proviene dalle fila della magistratura “politicizzata” e rappresenta l’ala “giustizialista” della politica italiana e l’altro è impegnato in questi giorni coi radicali in una battaglia referendaria che proprio a certe degenerazioni della magistratura vorrebbe tarpare le ali.
Eppure, come di un colpo, ieri tutto è sembrato sparire. È vero che Emiliano e Salvini hanno un nemico in comune nell’establishment del Pd (che il corpulento governatore sotto sotto lo ha sempre mal sopportato), ma di solito la battaglia da quelle parti è stata sempre combattuta su chi fosse più e non meno antisalviniano (e ieri antiberlusconiano).
Ora, Emiliano scombussola il quadro e arriva a dire che “Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di Paese, ed è uno sforzo che ha dei costi politici. Salvini è un politico che ha una sua onestà intellettuale”. Beh, si potrebbe osservare che tanto fair play dovrebbe essere normale se la lotta politica si svolgesse sulle idee e gli interessi concreti, all’interno di un comune quadro di adesione ai principi democratici, e non si tendesse, come è propria della politica (non solo italiana in verità) attuale, a delegittimare moralmente l’avversario. E, quindi, a ritenerlo un essere abietto, da escludere addirittura dal consesso civile, un “fascista”.
È questa, in effetti, l’utopia liberale. Una “quasi” utopia perché, per intervalla insaniae, ogni tanto pure si è realizzata nella storia umana: ad esempio nella politica statunitense fino a qualche lustro fa. La lotta politica non era allora certo meno feroce che oggi, ma riconosceva l’avversario e lo si ringraziava pure formalmente dopo averlo sconfitto.
Nelle urne annacquare il conflitto non è mai un bene, come ci ricorda Niccolò Machiavelli quando osserva che Roma fu grande quando la lotta politica fu forte e si indebolì quando la conflittualità venne meno. A renderlo però più circoscritto, senza usare la morale (presunta) come clava, ci si può provare.
Chissà che non sia questa la strada per rimettere al centro la politica, farla contare? Il rischio che i partiti corrono oggi in Italia è che, delegittimando l’avversario, e urlando a squarciagola la sua “indegnità”, alla fine non governi né l’uno e né l’altro di essi ma solo una “dittatura commissaria” (per rimanere nell’Antica Roma) quale è per certi aspetti, nel senso buono della parola, quella draghiana. Ai partiti andrebbe ricordato sempre quel vecchio detto che dice che “can che abbaia non morde”. E questo potrebbe essere un buon proposito per la stagione politica nuova, quella che si apre questa settimana dopo le ferie estive.