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Il mondo guarda Kabul e si è dimenticato del Libano? Il racconto da Beirut

Di Elisa Gestri

L’opinione pubblica mondiale è al momento concentrata sulle vicende afgane, ma la situazione del Libano sembra essere peggiorata nel giro di pochi giorni. La cronaca e le foto da Beirut di Elisa Gestri

Sono arrivata per la mia quarta volta a Beirut lunedì 30 agosto; nell’aria, stavolta, c’è qualcosa di diverso rispetto a un mese fa. Il volo Roma-Beirut, stranamente semivuoto, così come l’aeroporto. Il controllo passaporti molto più lungo e accurato del solito. La corsa verso il centro città con il taxi ufficiale costa 37 dollari americani (ad inizio agosto, 10). I mendicanti siriani, ormai presenza fissa della centralissima Hamra Street, un tempo la via dei locali e dei negozi di lusso della città, ancora più affamati. Zuffe e botte tra bambini e adulti per una brioche o un succo di frutta donati da mani occidentali, generose ma sprovvedute. Il prezzo del quotidiano francofono di Beirut, L’Orient le Jour, da un giorno all’altro salta da 5000 a 10000 lire libanesi.

Manca la benzina: le code, le liti, le risse ai distributori oramai non si contano e non sono più una notizia. Tra uno schiaffo e una spinta, accanto ai portafogli con le foto dei bambini spuntano da sotto le magliette le pistole. Polizia, Civil Defence, Servizi in borghese, dispiegati a far rispettare alle auto il loro turno alla pompa. Mancano le medicine: i malati di cancro muoiono negli ospedali per mancanza di chemioterapici. Manca l’elettricità, dunque niente wifi, dunque impossibile lavorare. Fuori da Beirut, manca anche l’acqua corrente nelle case. La spazzatura per le strade, altra novità, si accumula sempre più.

Traffici sottobanco ad ogni livello sociale: di medicine, di carburante, di generi alimentari, di elettricità, di qualunque cosa commerciabile. Chi ha la fortuna di andare all’estero acquista e al ritorno rivende o, raramente, regala. A questo dovrebbero pensare le Ong, che però al momento preferiscono le donazioni in denaro, “perché gli aiuti potrebbero essere intercettati e rivenduti”. Per evitare questo rischio, chi decide comunque di portare aiuti nel Paese è obbligato a prendere mille precauzioni: strappare o accorpare le scatole dei medicinali, togliere il bugiardino, mettere nel bagaglio a mano i farmaci più costosi. Questo, il piano della situazione reale.

Il piano della politica può essere in estrema sintesi riassunto come segue. Najib Mikati, il multimilionario sunnita designato il 26 luglio scorso a formare un nuovo governo, continua il suo balletto mortale con il Presidente della Repubblica Michel Aoun. La Lira libanese segue i rumors della politica, guadagnando punti rispetto al dollaro Usa quando la formazione del governo sembra imminente e perdendone davanti ad ogni ennesimo nulla di fatto. La conseguenza è una fluttuazione parossistica della valuta e dei prezzi, che cambiano da un giorno all’altro.

Il leader del movimento sciita Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha annunciato l’arrivo di una nave carica di carburante dall’Iran che sopperirebbe a un fabbisogno che il governo vacante non riesce a soddisfare. Lo stesso Nasrallah ha proclamato di recente che ad ogni aggressione o invasione del confine libanese da parte israeliana seguirà reazione immediata da parte del suo movimento, che non auspica la guerra ma “si tiene pronto”.

L’Occidente ha a cuore le sorti del Libano, almeno a parole: l’Unione Europea minaccia sanzioni che fino ad oggi non sono state attuate, delegati degli Stati Uniti visitano di frequente il Paese a vario titolo chiedendo l’immediata formazione del governo e promettendo denaro e investimenti. Ma, com’è giusto che sia, l’opinione pubblica mondiale è al momento concentrata sulle vicende afgane, e c’è solo da sperare che frattanto nel resto del Medio Oriente non si espandano ulteriori zone d’ombra.

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