Giuseppe Conte l’ha detto francamente: “Lavorare così per il bene comune è una faticaccia enorme”. Ma da cosa deriva questa inquietudine? Tour, stress, progetti. Il futuro incerto dell’ex premier nella bussola di Corrado Ocone
Che la politica esiga una certa fisicità e una salute di ferro perché è attività impegnativa e “usurante”, come si direbbe in altri casi, è cosa risaputa per chi la conosce veramente. Ed è una constatazione molto in contrasto con l’immagine comune del politico come di chi non ha lavorato mai, ha sempre campato a spese dei contribuenti e non ha cognizione della realtà di fatto e vissuta degli italiani.
Che un professionista arrivato alla politica in età certo non più giovanile, e pieno forse di quei pregiudizi antipolitici, se ne accorga dopo sole poche settimane da capo partito, potrebbe essere quasi normale. Più strano, e anzi sospetto, è che egli ne deduca di non vedere un orizzonte poi così ampio davanti a sé e di non poter forse reggere a lungo in quel compito, che in questi giorni lo vede fra l’altro impegnato in tour serratissimo di appuntamenti nel Nord Italia.
Probabilmente, c’è qualcos’altro e di molto meno evidente che affatica e stressa Giuseppe Conte, ché di lui si tratta, e lo fa essere meno ottimista di quanto era sembrato all’inizio, subito dopo l’investitura da parte del padre-padrone-fondatore dei pentastellati.
Ad inquietare Conte è forse prima di tutto proprio lui, Beppe Grillo, che si è come rinchiuso in un suo spazio privato e sembra per il momento lasciar fare all’ex presidente del Consiglio tutto quello che vuole, persino modellare il Movimento in modo del tutto diverso da come era stato immaginato all’inizio ed era poi stato nel rapido volgere degli anni che lo avevano portato dalle piazze ad essere nelle urne il primo partito italiano.
Archiviare il “Vaffa”, nella sostanza e nelle parole, come Conte ha detto (e anche scritto nello Statuto) di voler fare, deve essere stato davvero un brutto colpo per chi sul no gridato un po’ a tutto e a tutti aveva costruito il suo progetto e fatto la sua fortuna. Che Grillo abbia deciso di voler ammazzare la sua creatura per questa via tortuosa, cioè ritirandosi e dando le redini in mano a chi è sua creatura ma è anche il suo opposto, potrebbe anche essere il segno di una intelligenza politica che ha capito che i tempi sono cambiati e che lui rappresenta ormai un’altra stagione.
È più che lecito però pensare che Grillo così non pensi, e che il suo silenzio possa far rimbombare ancor più le sue parole quando avrà deciso che è arrivato il momento di romperlo. Una sua parola al momento opportuno potrebbe far crollare tutto. Conte probabilmente avverte questa situazione. E avverte pure lo spessore che, stando al governo sulla scia di Draghi, giorno dopo giorno acquista quel Luigi di Maio che capo politico dei Cinque Stelle fu nella loro stagione gloriosa.
E come dimenticare i malumori fra parlamentari e dirigenti, che crescono a dismisura man mano che gli spazi politici si assottigliano e sempre più cresceranno man mano che ci si avvicinerà a quelle elezioni politiche che dovrebbero certificare di fatto la fine di una stagione e di una classe dirigente per lo più avventizia e improvvisata?
Almeno che il progetto alternativo, quello che Conte definisce il “bene comune” per cui vale la pena lavorare, non decolli veramente. Ma quale è questo progetto comune? Quali “i principi e i valori” pentastellati “che si vogliono rilanciare”? Quelli che hanno miseramente fallito alla prova dei fatti, cioè del governo, o altri che non è dato ancora vedere? Perché questo sembra il vero: dietro l’enfasi sulle transizioni ecologiche e digitali, che fra l’altro sono diventate una specie di mantra per tutte le forze politiche, poco o nulla di concreto c’è. E sinceramente appassionarsi e addirittura credere in qualcosa che non esiste non è facile.
Il voto per le amministrative, intanto, viene visto come un ostacolo da superare senza scottarsi, mostrando un certo disimpegno nella speranza che attutisca gli effetti della débacle annunciata (a cominciare da quelle delle sindachesse di Roma e Torino). Quanto a quello che succederà dopo, tutto ruota nel buio più assoluto. E Conte sente anche, o almeno intuisce, di non avere tutta la forza che ci vorrebbe per invertire la rotta.