L’uomo è per sua natura essere sociale: e la coesione sociale, sinonimo di benessere, non materiale ma immateriale, e’ legata alla giustizia sociale, ossia all’assenza delle diseguaglianze socio-economiche, e non come si vorrebbe far credere, alla religione ne’ alla presenza o meno dell’immigrazione. E’ quanto emerge dallo studio, denominato ‘Barometro della coesione’, sul grado di ‘coesione sociale’ di 34 paesi industrializzati e svolto, da alcuni sociologi dell’Università Jacobs di Brema, dal 1989 ad oggi, per conto della ‘Fondazione Bertelsmann’. Presentato due giorni fa, lo studio e’ stato ‘bucato’ dai media nazionali, tutti dietro l’enciclica ‘Lumen Fidei’ del gesuita Pope Francis, o dietro le farneticanti dichiarazioni di Calderoli e il fattaccio ‘kazako’. L’aspetto interessante dello studio e’ la smentita della “scissione storica” tra individuale e collettivo, per cui o c’e’ l’individuale, come individualita’ astratta, che cancella il sociale o il sociale e collettivo, come ente astratto, che disconosce l’individualita’ dei singoli. Al primo posto della coesione sociale stanno, in Europa, i paesi scandinavi mentre quelli dell’Europa sud-orientale si piazzano agli ultimi posti. La coesione sociale e’ piu’ alta in Danimarca, seguita da Norvegia, Finlandia e Svezia e a ruota da Nuova Zelanda, Australia e Stati Uniti. Invece, Romania, Grecia e Bulgaria sono i paesi in cui il tessuto sociale e’ più sfilacciato.
Tre aspetti hanno pesato ai fini della ‘coesione sociale’: rapporti sociali resilienti tra gli individui; attaccamento emotivo alla comunita’; responsabilita’ del singolo verso il ‘bene comune’. Dallo studio si deduce che quanto piu’ benessere e distribuzione del reddito sono uniformi, tanto piu’ tende a rafforzarsi la coesione sociale. Gli stati piu’ ricchi si collocano in testa alla classifica, i piu’ poveri finiscono in fondo. Lo studio smentisce i timori che una forte immigrazione possa mettere in pericolo il tessuto sociale interno: paesi caratterizzati da alti livelli di immigrazione – Canada, Australia o Svizzera – hanno una coesione sociale molto elevata, a differenza di Romania o Bulgaria che attirano pochissimi migranti. Insomma, il numero degli immigrati, alto o basso che sia, non influenza la coesione di una societa’. Molto piu’ significativa e’ invece l’inconsistente credenza che la coesione sociale si basi su un contesto intatto di valori culturali e morali: in molti paesi nei quali si presume che la religione abbia un ruolo importante nella vita di tutti i giorni (Italia, Romania, Grecia, Polonia) la coesione sociale e’ alquanto bassa. In tutti i paesi nei quali invece la coesione e’ maggiore la religione riveste un ruolo secondario nella vita quotidiana delle persone. Lo studio dimostra quindi chiaramente che nei paesi caratterizzati da una forte coesione sociale la gente assegna alla “qualita’ della vita” un punteggio molto alto: la conclusione degli autori e’ che la “coesione sociale” puo’ essere, anzi e’ sinonimo di felicita’, ossia di “benessere non materiale”.
Dallo studio escono con le ossa rotte tanto l’ideologia neoliberista che in nome dei mercati finanziari e dell’individualismo, ha cancellato sia i bisogni materiali ed immateriali delle persone e sia il collettivo, la societa’, quanto la religione che in nome di una fantastica irreale vita ultraterrena, predica ‘la sofferenza’ in terra come ineluttabile dono di Dio, mentre ne esce confermata la geniale intuizione di Carlo Marx dell’uomo essere sociale per sua natura. Fino a poter dire oggi: elevare “a statuto di scienza” il rapporto interumano ed in particolare il rapporto uomo-donna.