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Papa Bergoglio: né conservatore, né progressista

 

Nella magnifica intervista di Marco Burini al Card. Kasper, sul Foglio di mercoledì, assistiamo allo smontaggio sistematico e puntuale del luogocomunismo su conservatori e progressisti nella Chiesa. Il riferimento è ovviamente a Papa Bergoglio.

 

Giusto. Ma trattasi di storia antica.

 

Conservatori e progressisti, i Papi, non lo sono mai fino in fondo, perché, come insegnava Balthasar, è la missione a determinare la persona. Di conseguenza: concavi e convessi, sempre.

 

Qualche sempio storico.

Leone XIII, nel furoreggiare talvolta scomposto del socialismo, scrisse la “Rerum novarum”, in cui mise a posto sia conservatori a loro modo radicaleggianti nel resistere ai cambiamenti, sia i progressisti, figli degeneri di ciò che Kasper ha ben individuato, quella mentalità secolarista che, alla lunga, non poteva che partorire i ranocchi nichilisti che vediamo oggi sguazzare, da una pozza all’altra, ormai afasici.

 

Non solo: Pio IX fu Papa liberale nella riforma delle strutture di comando vaticane e tradizionale (non tradizionalista) sempre contro i progressisti un tanto al chilo ed i modernisti, che producono quella “vuota profondità”, invisa anche al grande Hegel.

Per non dire delle sue rampogne contro il capitalismo secolarista, secolarizzato e figlio del secolo.

 

Alla fine, il minimo comun denominatore è il seguente: la cristianità non può essere saggezza convenzionale e, per ciò, deve farsi ragione allargata: e con ciò, abbiamo Bergoglio contro i benpensanti bacchettoni insieme appassionatamente a Ratzinger, alfiere umile del ritorno alla vera ragione, capace di unire, senza turbamenti, saggezza e umani sensi.

 

Dal minimo comun denominatore si passa, infine, al massimo comune divisore. Viene attratta la comunione di intenti e pensieri dei Pontefici, per poi dividerla, nei secoli, per la massima estensione dei bisogni e desideri di infinito degli uomini.

Il risultato, imprevisto, si chiama Chiesa.

 

 

 

 

 

 



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