Il “siluro” rifilato alla Francia dall’Aukus fa emergere i “vantaggi” della postura italiana sul fronte dell’industria della Difesa: solidi rapporti con Usa e Uk, buon posizionamento nel contesto europeo, magari sfruttando le divisioni tra Parigi e Berlino. Conversazione con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa
“L’Italia è in posizione ottimale per non essere schiacciata dal nuovo asse di ferro anglo-sassone e dai giganti europei, Francia e Germania, in contrasto tra loro; avere interessi diversificati per la nostra industria della Difesa è molto importante”. È il quadro di Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa e grande conoscitore del comparto, sui “vantaggi” che l’Italia potrebbe sfruttare nella crisi che si è aperta tra Parigi e l’Aukus, la nuova alleanza tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia. Una crisi legata alla cancellazione di un’importante (e ricca) commessa assegnata all’industria transalpina, del valore di circa 31 miliardi di euro (per dodici sottomarini), che sembra segnare nuovi equilibri sul fronte dell’industria della Difesa globale.
Quanto è duro il colpo per la Francia da un punto di vista industriale?
Molto. È noto che la commessa australiana avesse già palesato problemi e accumulato ritardi prima dell’annuncio dell’Aukus, a partire dalla scelta di un sottomarino nato per avere propulsione nucleare (il Barracuda francese) da convertire in versione convenzionale, fino all’integrazione sul mezzo francese di un sistema da combattimento americano. Poi c’è l’effettiva incapacità da parte dell’industria australiana di gestire programmi così complessi, situazione che emergerà anche quando ad Adelaide dovranno produrre i sottomarini a propulsione nucleare britannici o americani. In ogni caso, il programma assegnato a Naval Group era già in difficoltà e, di fatto, c’erano già tutte le ragioni per poterlo chiudere.
Perché allora la Francia ha reagito così duramente?
Per il metodo e per il significato politico della questione. Informare i francesi della cancellazione di una commessa così importante nel giorno dell’annuncio di una rinnovata alleanza con Stati Uniti e Regno Unito è stata una doccia fredda difficile da digerire per Parigi. Nonostante l’Aukus si presenti come un rafforzamento di un asse già esistente nel Pacifico (anche durante la Guerra fredda, quando il nemico era la Russia), tutti sono stati sorpresi.
Anche il Canada…
Sì, tanto che il primo ministro Justin Trudeau è sotto attacco sul fronte interno. Il Canada è per ora escluso, sebbene la nuova intesa sembri indicare l’intenzione di replicare sul piano industriale e politico i FiveEyes, il club della condivisione di informazioni d’intelligence riservato ai vincitori anglosassoni della Seconda guerra mondiale. Con l’Aukus, il mondo anglosassone torna a dire “l’Occidente siamo noi”, e lo fa in termini strategici e di commesse industriali.
Perché colpire la Francia?
Perché è molto competitiva a livello di industria della difesa. Un avversario temibile, Basti pensare che è l’unico Paese oltre a Stati Uniti, Russia e Cina a essere in grado di ideare, sviluppare e realizzare completamente da sola un velivolo da combattimento (il Rafale). La perdita della commessa di sottomarini all’Australia è considerevole, perché sottrae a Parigi un mercato rilevante, finanziamenti e dunque capacità di ricerca e sviluppo. Dunque, l’Aukus è un segnale alla Francia perché competitor temibile su assetti strategici come portaerei e sottomarini a propulsione nucleare. Gli Stati Uniti, con i britannici, hanno chiarito che vogliono l’esclusiva, nel mondo occidentale, delle commesse più ricche.
Ne arriveranno altre?
La dotazione da parte della Marina australiana di sottomarini a propulsione nucleare aprirà la gara per questo tipo di assetti in tutto il Pacifico. Parigi sta cercando il colpo gobbo negoziando con la Corea del Sud, nazione finora sotto una stretta influenza statunitense. Ma l’Aukus resta un segnale di emarginazione della Francia (in un’area su cui vanta presenza territoriale e militare) e dell’Europa.
Perché anche dell’Europa?
Perché la Francia è la potenza militare di riferimento in Europa, l’unico membro dell’Ue dotato di deterrente nucleare. La notizia dell’Aukus è arrivata mentre l’Unione europea definiva e presentava la sua politica per l’Indo-Pacifico. L’Alto rappresentante Josep Borrell ha parlato di investimenti e scambi commerciali, ma anche della necessità di irrobustire la presenza navale europea nella regione. L’intesa tra Usa, Uk e Australia è sicuramente un warning per i cinesi, ma anche per gli alleati europei dell’asse anglosassone. Con l’Aukus gli Stati Uniti dicono che il Vecchio continente va bene come alleato se mantiene il ruolo di gregario.
L’Australia aveva già scelto gli inglesi (BAE Systems) per le sue nuove fregate, in una gara che aveva visto sconfitta la proposta italo-francese per le Fremm. Emerge un trend più netto di unità dell’anglo-sfera?
C’è una differenza fondamentale rispetto alla commessa sui sottomarini. Nel caso delle fregate era chiaro che la Marina australiana avrebbe voluto le Fremm italiane, perché le ha viste, ci è salita sopra e le ha considerate affidabili. Invece, le Type26 di BAE Systems esistono al momento solo sulla carta, con un programma che soffre di diversi ritardi. La scelta per le fregate fu politica, ma BAE Systems vinse la gara, battendo anche gli spagnoli di Navantia. Non è stato assegnato e poi tolto un contratto a Fincantieri o ad altri. La differenza commerciale e di stile con il caso dei sottomarini è evidente. Le fregate sono andate a BAE Systems perché il peso politico del Regno Unito in Australia è molto maggiore di quello dell’Italia. Ce lo potevamo aspettare. Il parallelo tra il caso delle fregate e quello dei sottomarini non regge.
Dunque la reazione forte di Parigi è giustificata?
Più che giustificata. Ora il rischio è che in Europa si goda tutti del siluro rifilato alla Francia. È vero che Parigi ha spesso giocato in modo molto scorretto sul fronte dell’export militare e della cooperazione industriale, anche con l’Italia, ma il segnale dell’Aukus è una marginalizzazione per tutta l’Europa. Se ci iniziamo a dividere a discapito dei francesi, rischiamo di tagliarci le gambe da soli. La mia impressione è che la Francia costituisca il bersaglio grosso di un segnale rivolto all’Europa che vuole avere la sua Difesa comune, tema su cui inevitabilmente Parigi ha l’influenza maggiore.
In questo quadro l’Italia si presenta con interessi strategici a livello industriale tanto con Stati Uniti e Regno Unito, quanto con la Francia e in Europa. Questa postura a geometrie variabili, affermatesi nel corso dei decenni, può essere ancora sostenibile?
Credo che l’Italia abbiamo un vantaggio in questo contesto. La presenza forte di Leonardo nel Regno Unito ci favorisce. L’azienda è stata coinvolta nel Tempest prima ancora che l’Italia decidesse di entrarvi. E l’Italia l’ha fatto perché l’asse franco-tedesco ha ammesso al suo progetto per il velivolo di sesta generazione (il Fcas) solo la Spagna (visto il 5% di Airbus controllato dal governo spagnolo). Tra l’altro, c’è un acceso dibattito in corso tra Germania e Francia su una serie di progetti di cooperazione. Non è un segreto che in campo terrestre e navale Berlino vorrebbe lavorare di più con l’Italia, anche per ridimensionare la posizione francese.
E sul fronte Usa?
L’Italia ha un ottimo rapporto con gli Stati Uniti. Fincantieri Marinette Marine, controllata del gruppo di Trieste, realizza le fregate per la US Navy, e ciò può aprire alle Fremm mercati differenti rispetto a quelli raggiunti dalle proposte italiane, il cui successo è peraltro fuori discussione. Negli Stati Uniti c’è anche DRS, la controllata di Leonardo. Tutto questo permette all’industria italiana di potersi muovere perfettamente nel mercato anglosassone. Permette a Fincantieri di avere successo in diversi mercati, a partire dalle navi da combattimento con le Fremm quale prodotto di punta. Permette a Leonardo di sfruttare il posizionamento negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mantenendo però il presidio in Europa. Difatti, pur dovendo fare i conti con i colossi di Germania e Francia, siamo ben piazzati nel contesto europeo, come dimostrano i primi programmi del Fondo europeo di difesa (Edf).
Possiamo dunque sfruttare il momento?
Credo ci siano le opportunità per farlo. L’Italia è in posizione ottimale per cercare di non essere schiacciata dal nuovo asse di ferro anglo-sassone e dai giganti europei in contrasto tra loro.