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Vi spiego tutti i travagli della Lega (e del centrodestra). La bussola di Ocone

Per capire quanto sta succedendo nella Lega e tra le forze del centrodestra bisogna allargare lo spettro dell’indagine osservando quella frattura ben precisa tra i cosiddetti “sovranisti” e i liberali o liberal-conservatori. Questa divisione è stata sempre presente, ma oggi risulta in tutta la sua evidenza per due fattori: uno storico e uno legato alla nascita di un governo di unità nazionale, seppur sui generis, quale è quello di Mario Draghi. La bussola di Corrado Ocone

Per capire i travagli della Lega di cui parlano in questi i giorni i mezzi di informazione, più o meno reali o gonfiati che essi siano, bisogna allargare lo spettro dell’indagine fino a comprendere tutta quell’area che chiamiamo di destra o centrodestra. Un’area che è segnata da una frattura ben precisa fra i cosiddetti “sovranisti” (un termine che fra l’altro ha perso strada facendo ogni significato concettuale se mai uno ne avesse uno) e i liberali o liberal-conservatori.

Questa divisione, che è nei fatti stessi, o meglio nelle idee, è stata sempre presente, ma oggi risulta in tutta la sua evidenza per due fattori: uno storico e uno legato alla nascita di un governo di unità nazionale, seppur sui generis, quale è quello di Mario Draghi. Dal primo punto di vista, il periodo compreso fra la Brexit e la sconfitta elettorale di Trump (2016-2021), rappresentando il punto di massima della crisi delle élites occidentali e di connessa emergenze delle forze “populiste”, è stato oggi “superato” non certo da una risoluzione di quella crisi ma, anche grazie all’azione “sovranista”, da una risposta ad essa che ha cambiato il quadro di riferimento in cui si gioca la partita politica: le risposte “liberali”, nel nuovo contesto, riacquistano tutto il loro peso e danno vita ad un rapporto più equilibrato fra le due componenti della destra.

Per quel che concerne poi il governo Draghi, è evidente che la divisione fra una destra di governo e una di opposizione (seppur responsabile), porti con sé nuove fibrillazioni. Fra i partiti, ma anche all’interno della Lega, che si trova a cavallo fra le diverse e contrapposte esigenze presenti a destra. Un problema che ha anche Forza Italia, ma in tutt’altro senso, perché nel partito di Silvio Berlusconi è evidente, un altro tipo di divisione: quella fra un’ala coerentemente di destra, ovviamente nella sua versione liberale e moderata, e una che strizza fin troppo l’occhio, a mio avviso, alle tematiche che porta avanti la sinistra. In sostanza, una eventuale divisione in ambito leghista si giocherebbe tutta all’interno dello spazio politico di destra; mentre la stessa cosa non potrebbe dire se la spaccatura avvenisse in Forza Italia.

In verità, sempre secondo me, la Lega non si dividerà affatto, anche se potrebbe subire qualche perdita sul fronte destro, anche di qualche parlamentare di peso (a livello europeo Francesca Donato ha appena reso note le sue dimissioni). È un rischio che va corso anche perché quello che si perderebbe eventualmente da un lato, probabilmente lo si riconquisterebbe in questo preciso momento, in cui il Paese chiede stabilità per lavorare e riprendersi, e in ben altra misura, dall’altro. È per questo che l’idea di una federazione fra Lega e Forza Italia, momentaneamente messa in congelatore, ha una sua ratio. Intendo, come operazione per ricompattare i liberali e distinguerli, ma non separarli, dai conservatori più pronunciati che si ritrovano sotto le insegne di Fratelli d’Italia. Se questa operazione di razionalizzazione politica a cui le forze in campo tendono quasi per forza naturale e spontanea si dovesse realizzare, il problema per una futura alleanza di governo sotto un unico cappello sarebbe quello di trovare un leader in senso lato federatore (come a suo tempo fu Berlusconi), cioè che sappia tenere ferma l’unità e realizzare un programma comune a cui sarebbe opportuno cominciare a pensare già ora, casomai con dei tavoli interpartitici esplicitamente ad esso dedicati).

È qui, piuttosto che nella rincorsa su un terreno comune, che Matteo Salvini e Giorgia Meloni dovrebbero giocarsi la partita della leadership. Ad occhio, il primo, per il carattere più post-ideologico e pragmatico del suo profilo, avrebbe più carte in mano per vincere. Importante però sarebbe non trasmettere messaggi ambigui agli elettori: scegliere una strada e percorrerla con chiarezza. Questo è forse l’elemento che ancora manca, per la comprensibile paura che la Lega ha di perdere pezzi per strada. A volte, però, converrebbe tener presente il poeta e correre qualche pericolo perché, ove il pericolo cresce, cresce pure ciò che salva.

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