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Giorgia Meloni, prima e dopo

Uno sguardo al passato e uno in Europa mette in luce contraddizioni e strategie del partito guidato da Giorgia Meloni. Dal cambio di posizione sui vaccini alla scelta di non appoggiare il governo Draghi, ecco le posizioni della leader di FdI

Ci sono delle parole d’ordine molto abusate in politica, alcune di queste sembrano necessarie per trovare il proprio spazio nel dibattito e smorzare la richiesta di ragionamenti complessi. Alcune le abbiamo imparate facilmente e da subito hanno preso una loro precisa connotazione ideologica: “onestà”, “libertà”, “coerenza”. Un’ammiratrice dell’ultima scuola è Giorgia Meloni, leader in ascesa nei sondaggi, che così giustifica molte delle scelte degli ultimi anni, dall’opposizione al governo Draghi alle alleanze.

Spesso trascinata su temi storici e civili, arma perfetta per indirizzare facilmente discorsi complessi, la leader di FdI spesso e volentieri preme su questi temi per rimarcare la propria differenza dagli avversari: dalle battaglie civili a quelle di partito, dalla storia alla salute. Una scelta strategica, quella della capa di FdI, che non pochi consensi ha portato nel breve periodo, anche un comodo escamotage per non cadere in discorsi troppo cavillosi (come le amministrative). Eppure in un momento storico in cui le opinioni sembrano lapidarie e indubbiamente catalogabili tra destra e sinistra, nessuno è esente da evoluzioni. Evoluzioni che per primi i sostenitori della coerenza dura e pura tendono a dimenticare.

VACCINI

Complice la pandemia, i vaccini sono diventati il principale argomento di dibattito in Italia, o almeno così è stato voluto. Su questa diatriba che infesta ogni giorno i talk, posso dire senza problemi di pensarla come Giorgia Meloni (nel 2018): “Sui vaccini occorre avere l’umiltà di affidarsi alla comunità scientifica. Per questo penso che tornare indietro sarebbe un errore. È un tema che non va affrontato a livello ideologico: lasciamo stabilire a chi ha competenze quali siano i vaccini necessari e obbligatori”.

Non si ferma qui Giorgia Meloni, e sempre nello stesso anno continua senza sosta la sua battaglia contro le tentazioni no vax: “I vaccini sono una delle conquiste più importanti nella storia della medicina e le vaccinazioni obbligatorie sono lo strumento che la comunità scientifica ci consiglia per debellare patologie solo apparentemente sconfitte per sempre. Lanciare messaggi confusi e contraddittori, con il rischio di alimentare paure e notizie false, è un errore che la politica non deve commettere. La salute degli italiani, e in particolare dei nostri figli, non è argomento sul quale dividersi o dare giudizi sommari”. Ineccepibile, sono senza sé e senza ma dalla parte di Meloni contro chi “lancia messaggi confusi e contraddittori”, d’accordissimo con i suoi tweet che fanno svenire Gianluigi Paragone.

Tweet e post cancellati l’anno scorso. In un dibattito che ha polarizzato anche la questione vaccinale, tema sul quale “non bisogna dividersi o dare giudizi sommari”, anche il vaccino diventa motivo di scontro politico ed ideologico per accaparrarsi una platea elettoralmente ininfluente. “Non sono favorevole all’obbligo vaccinale, in particolare dei vaccini anti-covid, e non sono no vax. I vaccini anti-covid hanno un’autorizzazione condizionata, perché mancano alcune fasi della progettazione”. Così dichiara la presidente di FdI che, sebbene vaccinata (in silenzio), si esprime oggi netta sull’obbligatorietà vaccinale così come alcuni suoi parlamentari, estensione del grande capo come tipico a destra, arrivano a consigliare quali fasce dovrebbero o non dovrebbero accedere al vaccino (chiamato dal presidente “siero” come per Meluzzi e Mauro da Mantova). A quanto pare il principio di autorità non è più valido in politica, noi continuiamo a pensarla come la Meloni del 2018.

OMOSESSUALITÀ

Premessa doverosa: il ddl Zan come tutte le leggi può essere criticabile nelle sue specificità, ergerlo a totem e ideologizzare la sessualità (quanto di più intimo possa esserci) è una scelta politica faziosa quanto dannosa. Ed è proprio la questione sessuale a interessare in questo senso, la vulgata della destra omofoba e di una sinistra portabandiera di queste istanze ha spaccato il dibattito e lo sappiamo bene – salvo per i nazisti dell’Illinois nostrani, l’omosessualità è stato un tema tutt’altro che tabù nella destra giovanile post-missina (l’esempio di Mishima è quello più calzante) ed era di questo avviso anche l’ex leader di Azione Giovani Giorgia Meloni. Oggi la presidente di FdI tende sempre a rimarcare la differenza tra omosessuali e “organizzazioni LGBTQ+”, ovvero qualsiasi associazione organizzata colpevole di perpetrare la famigerata “ideologia gender” che la stessa Meloni ha ammesso di non sapere cosa significhi (anche io).

Eppure in qualità di ministra, Giorgia Meloni presenziò il 21 maggio 2009 al convegno di Arcigay Milano, forse la sigla più celebre del mondo omosessuale, pronunciandosi senza sé e senza ma contro qualsiasi tipo di discriminazione: “[Serve] una capacità di insistere su iniziative culturali che possono combattere a trecentosessanta gradi le forme di disagio che sono alla base di tutte le discriminazioni compresa anche la discriminazione che riguarda i giovani omosessuali, chiaramente come ministro della Gioventù ritengo che sia anche un compito istituzionale che mi compete e da questo vorrei partire”. Semplice buon senso accompagnato da una presa di posizione istituzionale, verso una forma di discriminazione che secondo Meloni nel 2020 non sembra allarmante: “Non possiamo dire oggi che nella realtà italiana gli omosessuali siano discriminati […] su millecinquecento casi di violenza solo duecento sono di genere negli ultimi otto anni, è una realtà che esiste ma non possiamo parlare di escalation”. Non è un dato allarmante, tant’è che a inizio anno (marzo 2021) FdI si pronuncia contro la risoluzione europea per stabilire il Continente come zona “LGBTQ free”. Colpa degli anglicismi forse, troppo di sinistra come il fantomatico gender.

FASCISMO

Il 7 gennaio 2014, come da tradizione, si svolge la manifestazione in ricordo della strage di Acca Larentia. In quell’occasione, CasaPound sceglie di commemorare l’evento con un manifesto polemico contro la destra istituzionale, colpevole di essere antifascista (un tradimento dei più gravi per i “camerati del terzo millennio”). Il poster, composto da citazioni infamanti degli esponenti di destra, riporta una frase attribuita a Giorgia Meloni: “C’è un antifascismo democratico e uno non democratico, ovvero una parte di questo fenomeno nei cui valori ci riconosciamo e un’altra parte le cui gesta sono distanti anni luce dai principi nei quali crediamo (e nei quali dovrebbe credere anche l’altro antifascismo)”. Questa frase non risulta in nessuna delle ricerche che ho fatto, può trattarsi di una mistificazione o meglio di una translitterazione di un concetto espresso in quel periodo da Giorgia Meloni, e questa seconda ipotesi risulta la più credibile.

Facciamo un passo indietro e torniamo al 2008, periodo in cui l’attuale presidente di FdI è ministro della gioventù per il PdL. Durante la kermesse di Atreju, festa della giovane destra post missina, Gianfranco Fini usa toni forti contro qualsiasi rigurgito fascista nella base militante (a seguito di alcune dichiarazioni infelici dei colleghi La Russa e Alemanno) dichiarando: “Dobbiamo essere chiari, la destra si riconosca nei valori dell’antifascismo”. Una frase forte che evoca ancora qualche malumore nei giovani ex An, ed è in questo caso che Meloni sceglie di porsi tra i due fuochi, il capo e i militanti, con parole da mediatore: “E adesso per favore basta, basta con questa storia del fascismo e dell’antifascismo, pietà! Siamo nati a ridosso degli anni ’80 e ’90, siamo protesi anima cuore e testa verso il nuovo millennio… una sinistra sempre più priva di risposte concrete cerca di costringerci all’ interno di una galera civile… Come ognuno di voi voglio fare politica nell’Italia di oggi per dare una speranza all’ Italia di domani. Tutto il resto è noia”. Riferimento a Califano a parte, niente di molto diverso da oggi se non concludesse con il richiamo ai “valori della libertà, democrazia ed eguaglianza” che sono “i valori sui quali si fonda la Costituzione e che sono propri anche di chi ha combattuto il fascismo”.

In un precedente articolo ho parlato dell’eredità post fascista della Fiamma e dell’ambiguità lessicale di alcuni esponenti di FdI in merito alla questione, l’allora ministro però nelle sue parole sottolineava la frattura tra antifascismo in senso proprio (chi ha combattuto il regime e nella resistenza) e “l’antifascismo militante” con il quale a destra vengono identificati gli avversari dell’allora MSI. Le parole pronunciate dopo Atreju si pongono in un’ottica coerente con la pesante eredità di partito ed una destra moderna tratteggiata ai tempi da Fini, ma decaduto quest’ultimo e con lui il suo progetto (identificato nella figura stessa dell’allora presidente della Camera, sempre grazie al personalismo), anche l’approccio sulla questione è cambiato scegliendo di sorvolare sulla questione almeno sul piano lessicale. In una lettera al Corriere del 2 giugno 2021, Giorgia Meloni risponde all’editoriale di Galli della Loggia affrontando il problema in questi termini: “Mi sorprende sentir ripetere questa affermazione (“FdI non deve ogni volta sviare il discorso sul fascismo”) anche da una persona colta come Galli della Loggia. Il fascismo non è una ‘peculiarità’ italiana.

L’intera Europa è stata coinvolta e travolta dalla furia ideologica di nazismo, fascismo e comunismo. Si è voluto affrontare in modo definitivo la questione nel 2019 con un atto di grande coraggio: la Risoluzione del Parlamento europeo sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa con la quale si condannano tutti i totalitarismi del ‘900. L’abbiamo votata senza alcuna esitazione insieme ai conservatori, ai popolari, ai socialisti, ai liberali di tutta Europa. Solo l’estrema sinistra europea e la sinistra italiana tutta, Pd compreso, hanno avuto problemi a seguire questa strada.

L’eccezione in Europa in tema di rapporto con il passato e con i regimi totalitari riguarda la sinistra italiana, non Fratelli d’Italia. È tempo che la politica italiana faccia i conti con questa anomalia che rischia di marginalizza la nostra Nazione nel contesto internazionale”. La comunicazione è tutto e, sebbene la tremenda F-word sia stata pronunciata in questo caso, si è ritenuto opportuno spostare il focus sulla sinistra. Siamo d’accordo col ministro, basta con la guerra civile, ma possiamo assicurarle che se dovesse definirsi antifascista non la scambieremo per una militante di Lotta Continua.

SOVRANISMO

In quest’ultimo paragrafo osserviamo il semplice mutamento di posizione europeo del partito, un dato che per alcuni può essere positivo come negativo per i duri e puri. Per molti l’annus horribilis della destra italiana è stato il 2013 (chi scrive lo farebbe risalire al 2008 e la fondazione del PdL) ma ci si scorda di un periodo che visto il recente mutamento politico si può già (in parte) archiviare: l’ascesa del sovranismo. Per sovranismo intendiamo la corrente, comunicativa più che politica, iniziata con l’ascesa di Marine Le Pen in Francia e il cambio di rotta della Lega di Matteo Salvini nel 2014, quando quest’ultimo andava ancora da Lucia Annunziata armato di lire.

In quel periodo FdI soffre la concorrenza di un Salvini in perenne scalata e una CasaPound sopravvalutata elettoralmente, in quel periodo i camerati usavano il termine sovranista come sinonimo di fascista per preparare il cartello “moderato” da affiancare all’alleanza con i padani (l’esperienza effimera di “Sovranità”). Per tentare di tenere compatto ciò che rimaneva dell’area post-An, una destra che sin dalla sua primissima esperienza di governo guardava con favore reciproco ai repubblicani francesi e i conservatori inglesi, Meloni si getta sulla retorica delle grandi banche e del moloch europeo: “Io non sono la mascotte di nessuno, in compenso qualcun altro [Gianfranco Fini] ha deciso di essere la mascotte degli interessi della grande finanza, della massoneria, delle lobby e dei grandi potentati”. Era il marzo 2015, un’accusa verso l’ex leader della destra italiana colpevole di aver “snaturato la propria identità”.

L’anno precedente FdI non arrivò al Parlamento europeo per pochi voti, ma qualcosa inizia a muoversi e non in ottica sovranista. Poco prima delle elezioni europee del 2019, FdI (con l’ingresso dell’europarlamentare ex forzista Fitto) ufficializza il suo ingresso nelle fila del partito dei Conservatori e Riformisti europei, partito di cui oggi è presidente proprio Giorgia Meloni che rivendica con orgoglio il ruolo. ECR è un partito definito dalla stessa leader “la terza via blairiana tra sovranisti e popolari”, un partito che estraneo al gruppo ID di Le Pen, Salvini e AfD tenta di rappresentare una destra conservatrice a Strasburgo.

L’attività europea di Giorgia Meloni è interessante, in primis l’utilizzo del termine “conservatore” in sostituzione di “sovranista” (complice indiretto l’intellettuale Francesco Giubilei) e la strana condizione di avere contemporaneamente partiti sovranisti come Vox e “ribelli all’Unione” come i polacchi del PiS, ma l’obiettivo malcelato di raccogliere lo status europeo che fu di An guardando a quei partiti di destra oggi parte del PPE. A dimostrare quanto detto è il maggiore dialogo del partito rispetto agli amici-rivali di ID, che esclusi dalla stragrande maggioranza delle attività europee spesso e volentieri disertano le aule, a differenza dei conservatori (esempio, ultimo discorso del presidente von der Leyen in cui lo stesso Fitto ha preso la parola).

Nonostante echi del sovranismo che fu, come il recente ingresso dell’ideologo della lega nazionale Vincenzo Sofo, la posizione di ECR è molto più incline al dialogo di quanto lo sia Giorgia Meloni in patria. Era il febbraio del 2021 quando il leader di FdI annunciava con orgoglio la scelta di restare all’opposizione sostenendo che “il nostro partito in Europa non fa parte di alcuna maggioranza Ursula” – riferendosi alla commissione von der Leyen al potere in Europa dal dicembre 2019, di cui ECR fa parte con Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l’agricoltura.


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