Perché la transizione energetica non può essere affrontata in Europa abbassando i cap e ritirando quote CO2, ma creando una politica energetica comune come è stata auspicata dal presidente Draghi. L’analisi di Massimo Medugno, direttore generale Assocarta
La settimana inizia con l’Eurogruppo e, poi, l’Ecofin, martedì 5 ottobre, ambiti nei quali il “caro energia” non potrà non essere trattato. Diverse le proposte, più o meno formali, di cui si è letto e scritto. Molte di queste, riguardano le quotazioni della C02 in ambito Ets.
La proposta di Spagna, Repubblica Ceca e Romania di fissare un tetto di prezzo alle quotazioni della C02 in ambito ETS va in questa direzione. D’altro canto diversi soggetti partecipanti al meccanismo ETS avevano richiesto un intervento nel mercato del carbonio per limitare i prezzi o limitare il ruolo degli operatori finanziari, temendo proprio il rischio di speculazioni.
Ed è infatti cresciuto molto dall’aprile 2020 il numero dei fondi di investimento registrato nel segmento Ets della borsa futures Ice, fino a raggiungere un valore pari a 7 volte quello dei soggetti obbligati. Sembra che anche al Parlamento europeo potrebbe essere presentata una risoluzione durante la prossima plenaria dal 4 al 7 ottobre per limitare l’aumento dei prezzi dell’Ets.
Le opzioni in discussione sono l’inclusione di limiti o range di prezzo al carbonio, la limitazione della partecipazione di alcuni soggetti finanziari non conformi o addirittura il divieto di negoziare per alcuni. Anche se adottato dal Parlamento, qualsiasi intervento in materia dovrebbe essere approvato anche dal Consiglio e dalla Commissione.
Alcuni governi europei (ad esempio, quelli citati prima) potrebbero sostenere la mossa all’interno del Consiglio, mentre altri Stati membri (ad esempio, la Polonia) hanno già in precedenza espresso dubbi sul ruolo della speculazione nel sistema Ets. Sul fronte della Commissione si segnala che il vicepresidente Frans Timmermans aveva dichiarato all’inizio di quest’anno la sua opposizione ad intervenire nel mercato del carbonio.
Ma perché questa “remora” ad intervenire sul mercato Ets? Sarebbe in linea con la stessa direttiva Ets che prevede il sistema della Market Stability Reserve anche per dare liquidità al mercato quando si arrivi a condizioni critiche e non solo, come è avvenuto in passato, per toglierla. Ed è abbastanza evidente, ormai, che il sistema delle quotazioni CO2 Ets è soltanto un costo che impoverisce l’industria senza che esso diventi leva di innovazione ambientale.
Gli introiti degli alti prezzi a cui vengono vendute le quote non vengono investiti in decarbonizzazione, ma acquistati da soggetti finanziari (magari che hanno adottato carte sulla sostenibilità), ma che nulla hanno a che fare con l’industria e la transizione energetica. Ed è l’ennesima finanziarizzazione dell’economia, ma per cambiare il modo di produrre energia occorrono fare impianti, da quelli fotovoltaici, al biometano, alle biomasse, ai rifiuti, oltre ad investire in ricerca.
Se rialzi analoghi fossero intervenuti in Borsa, con la stessa accelerazione, le relative autorità vigilanti non sarebbero già intervenute? Fissare un tetto alle quotazioni della CO2 sarebbe un buon segnale da parte dell’Europa. Un altro intervento dovrebbe essere quello che gli Stati devono utilizzare i proventi delle aste CO2 per costituire dei Fondi per la de-carbonizzazione dell’industria per produrre ancora più energia “verde”.
Va ricordato che nel mix di generazione elettrica italiana del 2020, anche per via del calo dei consumi dettato dalla pandemia, le rinnovabili hanno già effettuato il “sorpasso” sul gas naturale, raggiungendo una quota del 45,04% (41,74% nel 2019), mentre il gas naturale ha rappresentato il 42,28% (43,20% nel 2019). Tuttavia, il Pun è ancora correlato in gran parte ai sottostanti della generazione termoelettrica, basati sui segnali di prezzo legati alle componenti variabili delle commodity energetiche fossili (in particolare gas naturale)…. ed alle quote di emissione del meccanismo Ets.
Pertanto, la configurazione del mercato dell’energia a prezzo marginale sta comportando l’accumularsi di consistenti margini derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia elettrica da gennaio a settembre per alcuni impianti green.
La transizione energetica non può essere affrontata in Europa abbassando i cap e ritirando quote CO2, ma “creando” una politica energetica comune come è stata auspicata dal presidente Draghi. Gli acquisti massicci di energia della Cina di questi giorni dovrebbe rafforzare l’Europa nell’intento di porre in essere politiche altrettanto efficaci. Gli obiettivi della transizione energetica e ambientale non sono in discussione, ma essi sono strettamente connessi al mantenere una leadership europea nell’economia mondiale. In gioco non c’è solo la tutela dell’ambiente, ma anche il destino dell’Europa.