L’assoluzione dall’accusa di aver favorito la mafia del generale dei carabinieri, Mario Mori, del suo coimputato, il colonnello del Ros, Mauro Obinu, è una decisione, che va rispettata. Arriva 21 anni dopo la strage di Palermo, che costò la vita a Borsellino e agli agenti della sua scorta. E l’attentato fu preceduto da una trattativa tra lo Stato e i boss che, ne è convinto Sergio Lari, Capo della Procura di Caltanisetta, provocò la condanna a morte di Borsellino. Un atto giudiziario, l’assoluzione di Mori, che ha scatenato 2 fronti opposti.
Nel nostro Paese (normale?) anche le decisioni dei tribunali provocano il tifo, come nei derby calcistici più accesi.
Secondo Giulianone Ferrara, molto duro con Ingroia e Marco Travaglio, la sentenza dovrebbe indurre “alla vergogna l’establishment dell’antimafia chiacchierona e politicamente orientata”.
Ma il direttore de “Il Foglio” sa bene
E, assolti Mori e Obinnu, restano da chiarire le complicità, i silenzi, le connivenze, che hanno consentito a Riina e a Provenzano, e ancora consentono a Messina-Denaro, serene, lunghissime latitanze nella natia Sicilia.
Senza solidi agganci nelle istituzioni, la mafia non avrebbe potuto essere, per tanti anni, in modo così protervo e sanguinario, presente in Sicilia. E non avrebbe potuto imporre, e in parte ottenere, garanzie e concessioni da settori di primo piano dell’apparato statale nel cruciale biennio 1992-1993.
Attendiamo, pertanto, le motivazioni della sentenza, per comprendere i ragionamenti, che hanno portato i giudici ad accertare alcuni comportamenti degli ufficiali ma a concludere che non abbiano integrato reati penali. E, soprattutto, sarà interessante valutare se e quali ripercussioni potrà avere il verdetto sugli sviluppi del processone ai presunti responsabili della trattativa Stato-mafia nel tragico e cruciale biennio 1992-1994 che, secondo il Capo della Procura di Caltanisetta, costò la vita a Borsellino.
Quel processo non è stato istruito, collega Ferrara, da “infami pataccari” ma da servitori dello Stato, che rischiano la vita. E che meritano lo stesso rispetto di quello riservato agli ufficiali dell’Arma, assolti il 17 luglio.