In questi due anni di pandemia i talk politici si sono trasformati in “Covid talk”, costretti ad affrontare temi scientifici, a convivere con la catastrofe e con il pericolo. Tutto ciò ha implicato l’ingresso di figure nuove rispetto alla consuetudine degli ospiti conosciuti e riconoscibili e a un nuovo atteggiamento dei conduttori. Ecco i tre modelli di conduzione televisiva individuati da Giorgio Simonelli, professore associato di Giornalismo radiofonico e televisivo, direttore del Master in Fare Radio. Ideazione, produzione e gestione dei prodotti radiofonici, Università Cattolica del Sacro Cuore
I due anni di pandemia, che abbiamo vissuto, con i ripetuti lockdown, chiusure e restrizioni hanno prodotto varie conseguenze anche sulla televisione, sulla produzione, sull’organizzazione dei palinsesti, sul consumo.
Tra i generi più coinvolti ovviamente è risultata l’informazione con un grande aumento della sua presenza e della sua importanza, una nuova inevitabile gerarchizzazione tematica e un adeguamento dei programmi alla nuova situazione.
Tra questi a trovarsi nella posizione più delicata sono stati certamente i talk show, soprattutto quelli cosiddetti politici, da tempo immemorabile costruiti su una logica di contrapposizione di schieramento non più riproducibile in una situazione di emergenza, di fronte a fatti, problemi, provvedimenti mai visti nella società contemporanea.
La trasformazione dei talk politici in “Covid talk” costretti ad affrontare temi scientifici, a convivere con la catastrofe, con il pericolo, con la morte ha implicato l’ingresso di figure nuove rispetto alla consuetudine degli ospiti conosciuti e riconoscibili e a un nuovo atteggiamento dei conduttori.
Schematizzando, si possono individuare tre modelli di conduzione del “Covid talk”. Il primo, piuttosto originale e apprezzabile, è quello proposto quotidianamente da Sky Tg24 in fascia preserale e condotto dal vicedirettore della testata Alessandro Marenzi. Un talk sobrio, il cui titolo “I numeri della pandemia” indica la scelta di fondo: il cuore del programma è la grafica che propone una serie di dati su cui ragionare. Si tratta di dati – i numeri – decisamente nuovi, organizzati secondo categorie originali, con una videografica molto chiara e gradevole. Il conduttore li illustra con precisione e li propone all’interpretazione di un paio di ospiti: collegati dai loro studi, con un’immagine molto professionale si alternano medici e studiosi. Sono figure non notissime al grande pubblico, né destinate a diventarlo come è accaduto ad alcuni loro colleghi, ma il loro distacco e la lontananza dalle luci della ribalta mediatica rafforza la loro immagine di competenti concentrati sul loro lavoro quotidiano e la loro affidabilità. È la scienza che si misura concretamente con il problema che ci informa e la conduzione, senza sbavature e senza concessioni alla personalizzazione di Marenzi, sottolinea questa dimensione oggettiva.
Il secondo modello può essere ricondotto alla trasformazione in tempi di Covid di un talk popolarissimo come “Che tempo che fa”. Qui Fabio Fazio ha sperimentato una linea molto netta, interpretando il programma come uno spazio di servizio pubblico e affidando il ruolo di informatore e formatore dell’opinione pubblica a uno scienziato, il professor Roberto Burioni, figura di assoluta autorevolezza scientifica già abbastanza noto al pubblico e conosciuto per le sue posizioni intransigenti. Il dialogo con il conduttore si riduce al minimo, a risposte articolate ed espresse con sicurezza e passione a domande di carattere generale. Non è un caso che nel corso del tempo alla formula domanda-risposta si sia sostituito un discorso senza interruzione del professore a metà tra lezione e precetto, analisi e persuasione. Una forma di legittima propaganda di pubblica utilità, più one man show che talk show.
C’è chi invece ha preferito mantenere la struttura dialogica e conversativa del talk tradizionale giocando sulla diversificazione degli approcci al problema che poteva trasformarsi in contrapposizione. Nei talk di prima serata o di access prime time condotti da Gruber, Berlinguer, Formigli, Floris non sono mancati i dibattiti tra scienza e filosofia, psicologia e politica. Protagonisti i vari intellettuali, politici e giornalisti già ben noti frequentatori dei talk a cui si sono aggiunte le figure degli uomini e donne di scienza, ricercatori, virologi, epidemiologi. Con l’esito sorprendente della rapida trasformazione di questi ultimi in personaggi televisivi che, senza perdere di autorevolezza scientifica e professionale, hanno ben presto assunto un “carattere” nel senso drammaturgico del termine, diventando parte fondamentale non solo del talk ma anche dello show.