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Il paradosso di Berlusconi (e le scelte di Salvini). La bussola di Ocone

Ci sono idee diverse di partito, di alleanze e di ruolo che potrà ancora giocare in futuro Forza Italia. Problemi di identità e prospettive che coinvolgono anche la Lega. È vero che l’essere “di lotta e di governo” penalizza fortemente il partito di Salvini, ma la convenienza politica imporrebbe il governo e non la lotta. In questo, Berlusconi continua ad avere più intuito di tutti. Non è sicuro che basterà. La rubrica di Corrado Ocone

Suona abbastanza paradossale che mentre si pone come federatore di un centrodestra senza bussola, soprattutto dopo il risultato delle amministrative, Silvio Berlusconi i problemi più evidenti sembra averli in casa.

Ove il dissenso interno si è prima aggregato chiedendo il voto segreto per l’elezione del nuovo capogruppo alla Camera e poi ha preteso di contestare la scelta del capo come mai prima era accaduto. Si è così appalesata una vera e propria “corrente” interna che riesce ad aggregare un terzo del partito (il quale è comunque ai suoi minimi storici), e ad annoverare fra le sue fila tutti e tre i ministri forzisti presenti nella compagine governativa.

Che la questione sia sostanziale, e non riguardi solo la scelta di un nome per un incarico, è ormai evidente: al fondo ci sono due diverse idee del partito, delle alleanze, del ruolo che potrà ancora giocare in futuro Forza Italia. Se da una parte ci sono coloro che guardano alla classica alleanza delle forze di centrodestra, da riproporre tale e quale a quella che è sempre stata anche se nel contempo Forza Italia si è assottigliata e a dominare sono gli altri due partiti, con quel che ne consegue a livello di politiche (più statalismo, meno europeismo, meno moderatismo); dall’altra ci sono coloro che ragionano in una ottica proporzionalistica e di “grande centro” in cui Forza Italia si porrebbe come una sorta di “partito di Draghi” senza Draghi tendendo naturalmente a convergere con forze come Italia viva, Azione, ex democristiani, il gruppo di Toti e Brugnaro. Il tutto mentre sullo sfondo si intravedono manovre piddine per creare le condizioni di una futura “maggioranza Ursula” anche in Italia, con o senza Draghi.

Che il Cavaliere propenda per la soluzione unitaria di destra lo ha dimostrato la sua giornata romana: con l’incontro a Villa Grande con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, da cui è emersa la volontà di vedersi periodicamente e marciare uniti nella prossima “battaglia del Quirinale”; e con la lettera inviata al capogruppo uscente, in cui, senza voto, ha imposto, come è sempre stato, a Roberto Occhiuto il nome del suo successore nella persona di Paolo Barelli, espressione di Antonio Tajani e del gruppo unionista.

Perché Berlusconi, che pure sembra tirato da una parte e dall’altra, abbia fatto la scelta unionista è presto detto: per contare di più proprio nella partita quirinalizia mettendo sul tavolo un bel gruzzolo di voti. Se è questo, nell’immediato, il suo scopo, è evidente che egli però non può perdersi nemmeno l’ala sinistra dei frontisti. In altri tempi, il dissenso non sarebbe forse mai emerso pubblicamente o si sarebbe risolto con l’assorbimento rapido e al limite la scissione. Oggi il Cavaliere ha lasciato fare ai “reprobi” semplicemente perché la possibilità di perderli non gli conviene. Ed è anche probabile che, nelle prossime ore, lanci un segnale di distensione verso di loro.

Il problema della strategia, che sarà messo in congelatore almeno fino a gennaio, però resta. E viene naturalmente ad incrociarsi con uno simile, cioè di identità e prospettive future, della Lega. È qui che Salvini si gioca la partita per una unione più organica con la Forza Italia di Tajani e compagni. Certo, si tratterebbe di portare a termine un processo già intrapreso da un anno di “rivoluzione liberale”, giusto per intenderci. A spingerlo verso questa direzione dovrebbero essere tre considerazioni semplici semplici: 1) oggi nel Paese non c’è più spazio per due partiti fotocopia posizionati sulle estreme: anche se un certo disagio sociale permane, il sentiment generale del Paese è cambiato rispetto a soli tre anni fa, quando in verità la coalizione era già troppo sbilanciata a destra; 2) al “centro” c’è una immensa prateria che sarebbe un peccato lasciare a forze tendenti a sinistra come quelle che fanno gola a Renzi e a Calenda; 3) un futuro governo a trazione “sovranista” avrebbe grossi problemi ad accreditarsi, anche in Europa, e sarebbe probabilmente messo nella condizione di non governare.

È vero che l’essere “di lotta e di governo” penalizza fortemente la Lega, ma la convenienza politica imporrebbe il governo e non la lotta. In questo, Berlusconi continua ad avere più intuito di tutti. Non è sicuro che basterà.

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