“Alfano resta, ma per poco”. Il titolo di apertura della prima pagina di oggi del quotidiano l’Unità fornisce un quadro indicativo dello stato in cui si trova il Pd.
Dopo la cortese reprimenda del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a non affossare il governo delle larghe intese per il caso kazako, difendendo di fatto l’operato del ministro dell’Interno, il Pd è stato costretto a non votare la mozione di sfiducia contro Alfano presentata dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e da Sel di Nichi Vendola. Anche perché il discorso al Senato del premier Enrico Letta non ha lasciato spazi di manovra a renziani insofferenti, cripto grillini e vendoliani in pectore presenti nel Pd.
Ma alla base del Partito democratico si cerca di vendere ora un po’ di fumo per evitare di prendere atto di un altro capitolo del governo delle larghe intese. Si dice: ragazzi, ok, non siamo riusciti a mandare a casa Alfano, ma vedete che prima o poi… Un ragionamento non si sa se più puerile o dilettantistico. E che arriva a un punto di caduta: Alfano molli le deleghe, si legge in un commento sempre sul quotidiano l’Unità.
D’altronde lo stato pre agonico del Pd (e il Pdl ovviamente non gode di miglior salute…) è attestato dall’ultimo annuncio del segretario del Pd. Guglielmo Epifani, in un colloquio con il quotidiano Repubblica, tenta di scaldare gli animi delusi di iscritti e militanti del Pd invocando – udite udite – un governo “più forte”. Quale esecutivo più forte è quello in cui il presidente del Consigli era vicesegretario del Pd e il vicepremier è il segretario dell’altro maggiore partito di cui si compone la coalizione di governo?