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Pil, ma non solo. Cosa c’è dietro l’aggressività della Cina

Crescita, crisi della natalità e previsioni sotto le attese. Tutti fattori che hanno reso decisamente meno docile Pechino. L’analisi di Giuseppe Pennisi

Da settimane le minacce di Pechino su Taiwan si fanno più intense: ad ogni occasione, dalla Città Proibita di levano grida che la “provincia separata” sarà riunita alla madrepatria presto ed ogni caso entro il centenario della fine vittoriosa della “lunga marcia” nel 1949. L’aggressività nei confronti della “regione amministrativa speciale” Hong Kong è nota; è iniziata poco prima che da Wuhan si scatenasse il Covi-19 che ha fatto milioni e milioni di vittime in tutto il mondo e sulla cui origine si sta ancora indagando.

Ho avuto la fortuna di conoscere sia Taiwan sia varie province della Repubblica Popolare Cinese. Ed è soltanto o principalmente la geopolitica che guida l’aggressività della Cina di Xi Jinping? Credo che le spiegazioni geopolitiche siano utili ma limitate. Alla base dell’offensiva della Cina contro tutti o quasi, ci sono determinanti economiche. Da sempre, in qualsiasi Stato autoritario-dittatoriale quando l’economia va male e ci sono tensioni interne, il governo tende a scaricarle all’estero.

Ed è noto che le statistiche cinesi devono essere considerate come le streghe di Halloween. Le più affidabili sono quelle pubblicate dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in quanto devono almeno tentare di avere il livello richiesto dal Fmi. Secondo questi dati, il tasso annuo di crescita del Pil è crollato dal 12% circa l’anno tra il 2005 ed il 2009 a meno del 4% nel 2019, ultimo anno prima della pandemia. Cosa spiega questo crollo e quali sono le prospettive per il futuro?

A pensare male si fa peccato, ma ……..è possibile che i numeri dati al Fmi nascondano un tonfo molto più pesante. Dopo un millennio di stagnazione, una Cina che ancora negli anni settanta del secolo scorso stava ad un livello analogo a quello dell’Europa occidentale nel Medio Evo, ha fatto un rapido balzo in avanti, in gran misura grazie alle liberalizzazioni di Den Xiaping all’inizio degli anni ottanta. Una transizione da un’economia medioevale a voler essere la “fabbrica manifatturiera del mondo con lavoro a basso costo”, prima, ed a volersi porre “all’avanguardia tecnologica”, poi, non si fa senza costi e senza traumi, e soprattutto senza contraddizioni.

In primo luogo, gli investimenti non direttamente controllati dalla mano pubblica si sono riversati nell’edilizia per dare case a coloro che si spostavano dalle zone rurale a quelle urbane. Si pensava ad un fabbisogno ed ad una domanda immensa. Senza conoscere, però, cosa vuol dire “domanda effettiva”.

Già nel 2020, un studio di Kenneth Rogoff e Younchen Yang avvertiva che si era ecceduto: dal 2000 al 2021 gli investimenti in edilizia abitativa in Cina superavano quelli effettuati negli stessi anni dagli Stati Uniti. Inoltre, venivano messi in atto facendo ricorso al credito non a capitali propri e costruendo abitazioni i cui standard e prezzi di vendita superavano alla grande quanto i potenziali clienti avrebbero potuto pagare. C’erano tutte le premesse per il crollo di società come Evergrande, così come nell’Italia di fine ottocento già in età giolittiana c’erano tutte le premesse per quello che successivamente fu lo scandalo della Banca Romana.

In Cina i tassi di risparmio delle famiglie sono spaventosamente alti: tra il 30% ed il 45% del reddito disponibile. Uno studio Fmi ha indagato sulle determinanti. La principale è la transizione demografica mirata per decenni a ridurre le nascite. I cinesi sanno che in tarda età nessuno o quasi si occuperà di loro e dato che, anche se la Repubblica si definisce “comunista”, non esiste un sistema di previdenza, assistenza e sanità, utilizzano il buon detto contadino di accumulare per quando i tempi saranno peggiori. Paul Krugman ha stimato che per tornare ai tassi di crescita degli anni del “miracolo economico”, la Cina dovrebbe investire ogni anno ben il 40% del Pil! Anche ove il premio Nobel Krugman sbagliasse i conti del 50%, un tasso d’investimento del 20% è raramente concepibile. Soprattutto se i risparmi delle famiglie restano sotto il materasso e la fiducia in aziende e banche gestite da funzionari di partito (loro li conoscono bene!) scarseggia od è nulla.

Un crollo del tasso di crescita medio è ovviamente differenziato da provincia e provincia e non può non acuire i conflitti interni in un vasto Paese caratterizzato da varie etnie e privo di una lingua parlata nazionale. Amici che vivono in Cina mi dicono che aumentano ogni giorno. La Città Proibita cerca di sedarle stimolando l’orgoglio nazionale e il progetto di riconquista di territori considerati parte del Paese.

Attenzione, mentre Hong Kong fu una colonia britannica dalla guerra dell’oppio (1841) al 1997, Taiwan, popolata da popolazione austronesiane, ed a lungo dominata da spagnoli e olandesi, fu una colonia cinese dal 1683 al 1896 durante la dinastia Qin e successivamente una colonia giapponese sino alla fine della seconda guerra mondiale. Il “titolo” per “integrarla” è piuttosto debole perché il Celeste Impero non ne è mai stato madre patria.


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