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Serve un inviato per la libertà religiosa. Pressing della Camera sul governo

Sì unanime della commissione Esteri alla proposta di creazione di una figura che si occupi anche di dialogo interreligioso. Diritto di credo violato in 62 Paesi su 196 del mondo, denuncia la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre

Dopo le aperture del governo è anche arrivata la spinta unanime della commissione Esteri della Camera dei deputati per la creazione di un inviato speciale per la tutela della libertà religiosa e il dialogo interreligioso.

La commissione ha approvato separatamente e con l’unanimità dei presenti due risoluzioni. Una del leghista Paolo Formentini, che è anche vicepresidente della stessa commissione. L’altra di Maurizio Lupi di Noi con l’Italia, con l’appoggio di Fratelli d’Italia. Alla prima, che inizialmente era dedicata all’istituzione di “un inviato speciale per la tutela della libertà religiosa”, il governo ha proposto di aggiungere al fondo “e il dialogo interreligioso”. Proposta accettata dal primo firmatario e dalla commissione tutta.

“È il trionfo del più bistrattato dei diritti umani, quello della libertà di religione e di credo sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani”, festeggia Formentini raggiunto da Formiche.net dopo il voto in commissione.

Nei giorni scorsi la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre aveva definito la proposta parlamentare dell’istituzione di questa figura come “particolarmente opportuno perché l’istituzione o la riattivazione della carica di ambasciatore per la libertà religiosa è ormai una realtà in un numero crescente di nazioni, quali Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Norvegia, Finlandia, Polonia e Regno Unito. In Germania è stato nominato un Commissario per la libertà religiosa nel mondo”, si legge in una nota in cui la fondazione ringraziava anche il governo che, “nella persona del sottosegretario [agli Esteri Manlio] Di Stefano, ha fornito rassicurazioni spiegando che l’idea era al vaglio della Farnesina. Aiuto alla Chiesa che soffre auspicava “un esito positivo delle valutazioni in corso affinché l’Italia possa fornire quanto prima un segnale politico e istituzionale chiaro e inequivoco a tutela di questo diritto fondamentale attualmente violato in 62 dei 196 Paesi sovrani del mondo”.

Ora la palla passa al governo. La spinta parlamentare è chiara e netta. Ma il tema rimane uno di quelli delicati. Tanto che alla Farnesina quanto in Aula tutti danno per scontato che, quando istituito, l’inviato sarà un diplomatico di carriera e non di nomina politica come invece accade, per esempio, negli Stati Uniti. E non soltanto perché altrimenti ci sarebbe da prevedere la figura anche all’interno della legge di bilancio.



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